involuzione

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Poche cose abbiamo imparato dalla storia all'infuori di questa: che le idee si condensano in un sistema di ortodossia, i poteri in una forma gerarchica e che ciò che può ridare vita al corpo sociale irrigidito è soltanto l'alito della libertà, con la quale intendo quella irrequietezza dello spirito, quell'insofferenza dell'ordine stabilito, quell'aborrimento di ogni conformismo che richiede spregiudicatezza mentale ed energia di carattere.
Io sono convinto che se non avessimo imparato dal marxismo a vedere la storia dal punto di vista degli oppressi, guadagnando una nuova immensa prospettiva sul mondo umano, non ci saremmo salvati. O avremmo cercato riparo nell'isola della nostra interiorità o ci saremmo messi al servizio dei vecchi padroni. Ma tra coloro che si sono salvati, solo alcuni hanno tratto in salvo un piccolo bagaglio dove, prima di buttarsi in mare, avevano deposto, per custodirli, i frutti più sani della tradizione intellettuale europea: l'inquietudine della ricerca, il pungolo del dubbio, la volontà del dialogo, lo spirito critico, la misura nel giudicare, lo scrupolo filologico, il senso della complessità delle cose.
Norberto Bobbio

venerdì 7 dicembre 2012

Diritti Umani come arma di guerra imperialista


Dan Kovalik, difensore dei diritti umani, educatore e avvocato giuslavorista, ha avuto l'audacia di sfidare il gruppo di pressione per i diritti umani più conosciuto e stimato del mondo. Con i suoi tre milioni di membri da quando è nata nel 1961, Amnesty International è la più prestigiosa nella galassia delle moderne "organizzazioni non governative" (NGO), tra le centinaia di migliaia di nebulose che giocano un ruolo sempre più ampio e influente negli affari internazionali.
 
Nonostante la fulgida reputazione di cui gode tra i "progressisti" borghesi nel mondo anglofono, Kovalik era turbato dalla posizione di AI sulla guerra in Libia e del ruolo giocato nell'incoraggiare un coinvolgimento degli Stati Uniti e della NATO. Dopo un suo articolo dal titolo "Libia e l'ipocrisia occidentale sui diritti umani" apparso sulla rivista Counterpunch del 23 ottobre, AI ha lanciato un contrattacco scritto dal suo dirigente Sunjeev Bery. La risposta di Bery ha trovato ampia diffusione tra i sostenitori di AI nella comunità internet quale esempio di "mancata comprensione" dei principi e degli obiettivi di AI.
 
Nella sua replica, apparsa su Counterpunch dell'8 novembre, Kovalik controbatte le argomentazioni di Bery e dimostra con chiarezza ancora maggiore come AI abbia aiutato a sfondare la porta dell'ingerenza straniera in Libia e come, consapevole o meno che fosse (è difficile immaginare qualcuno inconsapevole), abbia fornito una giustificazione dubbia ma influente per un tale intervento.
 
AI, insieme ad altri fautori di un'interpretazione altrettanto ristretta e miope dei diritti umani, ha una lunga e disonorevole storia a sostengo di quelli che si trovano dalla parte sbagliata nella lotta per la giustizia, ignorando le disuguaglianze materiali, gli squilibri di potere e le oppressioni di classe ed etnia, e riducendo la questione della giustizia a una faccenda di coscienza individuale e a una serie conservatrice di diritti negativi. Certo non vuol dire che queste preoccupazioni siano sbagliate, ma riguardano solo una piccola parte delle preoccupazioni della stragrande maggioranza dell'umanità. In realtà, riguardano coloro che sono meno toccati dalle devastazioni del capitalismo predatorio e dai suoi esecutori militari: riguardano quelli che vivono nei paesi più sviluppati, e tra questi i più privilegiati dei ceti medi e alti.
 
Quando AI è stata fondata nel 1961, gran parte del mondo era impegnata in un'intensa lotta per l'indipendenza dall'imperialismo e dal neo-colonialismo. Dall'Algeria al Vietnam, dalla Repubblica del Congo a Cuba, dal profondo sud razzista degli Stati Uniti al Sudafrica e alle colonie portoghesi africane: milioni di persone erano impegnate a lottare risolutamente per l'autodeterminazione. Sotto il giogo dei ricchi e dei potenti, i popoli dell'Asia, dell'Africa, del Medio Oriente, dei ghetti e delle periferie del Primo Mondo, erano in rivolta contro i loro oppressori. L'ONU ha riconosciuto questo movimento potente, ne ha certificato l'autenticità e ne ha attestato la legittimità adottando nel 1960 la Dichiarazione sulla Concessione dell'Indipendenza ai Paesi ed ai Popoli Coloniali che dichiara quanto segue:
 
1. L'assoggettamento dei popoli alla sottomissione, al dominio e allo sfruttamento straniero costituisce una negazione dei diritti umani fondamentali, è contraria alla Carta delle Nazioni Unite ed è un impedimento alla promozione della pace e della cooperazione nel mondo.
 
2. Tutti i popoli hanno il diritto all'autodeterminazione, in virtù di tale diritto essi determinano liberamente il proprio status politico e perseguono liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale.
 
3. L'inadeguatezza della preparazione politica, economica, sociale o educativa non dovrebbe mai servire da pretesto per ritardare l'indipendenza.
 
4. Tutte le azioni armate o misure repressive di ogni genere nei confronti dei popoli dipendenti cesseranno al fine di consentire loro di esercitare pacificamente e liberamente il loro diritto alla piena indipendenza, e l'integrità del loro territorio nazionale verrà rispettata.
 
Forse è stata una coincidenza, ma proprio nel momento in cui queste lotte erano al centro dell'attenzione del mondo, AI ha scelto di deviare la discussione sulla questione dei diritti umani su altri binari, lontano dai diritti dei popoli sottomessi, per concentrarsi sui diritti di individui che la dirigenza dell'AI aveva vagliato e patentato come "prigionieri di coscienza" . Entro la metà degli anni Sessanta, i leader riconosciuti a livello internazionale di movimenti anti-coloniali per l'indipendenza come Nelson Mandela, allora in carcere, sono stati esclusi dalla categoria "prigionieri di coscienza", perché proponevano la resistenza armata contro i loro oppressori. Allo stesso tempo, artisti, scrittori e altri intellettuali dissidenti nei paesi socialisti e paesi meno sviluppati assurgevano a candidati idonei all'attenzione di AI, in particolare da parte dei sui membri negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale.
 
Sia stata collaborazione oppure casualità, gli abusi denunciati dalla leadership di AI venivano prontamente abbracciati dai grandi media capitalisti, in piena sincronia con le posizioni in politica estera degli Stati Uniti e dei suoi alleati europei nella Guerra Fredda. Le poche denunce di presunte violazioni dei diritti umani nei paesi occidentali non attiravano l'attenzione del pubblico, mentre le accuse mosse nei confronti dei governi dell'Est e del Sud del mondo venivano a svolgere un ruolo sempre maggiore nel campo della diplomazia e degli interventi dei paesi occidentali. Persino Peter Benenson, fondatore di AI, espresse a metà degli anni sessanta preoccupazioni che l'organizzazione fosse eccessivamente influenzata dai servizi segreti britannici.
 
Nella battaglia delle idee durante la Guerra Fredda, AI si è dimostrata una grande risorsa per gli Stati Uniti e i suoi alleati, abilmente plasmando questioni che diventavono pilastri della politica e delle leve di negoziazione. L'interpretazione restrittiva dell'Atto Finale della Conferenza di Helsinki del 1975, una interpretazione che dava maggiore importanza all'Articolo 7 rispetto agli altri nove articoli e a tutte le altre disposizioni, segnò la vittoria più importante della collaborazione durante la Guerra Fredda tra le organizzazioni occidentali per i diritti umani e i governi occidentali. La maggior parte degli attivisti per i diritti umani e la giustizia sociale nella sfera di influenza di Amnesty International difficilmente identificano nelle disposizioni dell'Atto, altro che l'approvazione di una non ben definita libertà di coscienza.
 
In particolare l'Articolo 6, il principio di non-ingerenza negli affari di altri governi, non è stato né riconosciuto né rispettato dai gruppi per i diritti e dai governi in occidente. Costruendo le loro azioni sulla base dell'Articolo 7, i governi capitalisti hanno montato un'offensiva massiccia sulla questione dei diritti umani contro i paesi socialisti e antimperialisti, a scapito dei movimenti di liberazione nazionale, contro il nucleare e la guerra, i quali esprimevano le pressanti preoccupazione della maggior parte delle persone meno abbienti in quel momento. Gran parte del merito per aver impostato la questione in tali termini era delle organizzazioni per i diritti umani. Il loro limitato e superficiale approccio alla giustizia sociale, le ha attratte in una campagna calcolata contro l'ondata del socialismo così impetuosa a metà degli anni settanta.
 
Naturalmente anche i diritti positivi inerenti l'uguaglianza, l'istruzione, il tempo libero, l'abitazione, la pace, ecc., sono stati spazzati via nella celebrazione dell'individualità e della libertà di espressione individuale, che Marx ha definito "... i diritti dell'uomo egoistico, dell'uomo separato dagli altri uomini e dalla comunità".
 
Dopo la Guerra Fredda
 
Con la scomparsa della comunità socialista europea e la creazione di un nuovo equilibrio di potere favorevole alle potenze capitaliste occidentali, l'imperialismo ha ulteriormente cooptato la causa dei diritti umani, riducendola a pretesto per le guerre di aggressione. Con nessuno a difendere e far valere i diritti delle nazioni all'autodeterminazione, gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO hanno cinicamente creato una politica estera predatrice intorno all'idea di tutelare e promuovere i diritti umani e la democrazia, una politica usata per giustificare gli interventi armati intrapresi in modo aperto nei Balcani e in Medio Oriente e in modo occulto in decine di altri paesi. Mentre i sostenitori dei diritti umani in occidente restavano in silenzio.
 
Incoraggiati dall'efficacia della copertura, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno sponsorizzato centinaia di ONG per "i diritti umani" e "la democrazia" sostenendo di promuovere dei valori più alti, mentre sovvertivano governi ostili agli obiettivi degli Stati Uniti e della NATO. Finanziate da USAID e da altre agenzie governative dai nomi innocui, come istituto del partito Repubblicano o del partito Democratico, influenzano elezioni, fomentano colpi di stato e manipolano le opposizioni in paesi come Ucraina, Libano, Venezuela, e molti altri. Introducendosi di nascosto nella tenda dei diritti umani, queste organizzazioni sfruttano la preoccupazione occidentale per i diritti umani individuali a scapito dei diritti garantiti dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1960 e altre dichiarazioni che affermano il diritto all'autodeterminazione. Mentre i sostenitori dei diritti umani in occidente continuano a restare in silenzio.
 
Se i luminari in materia di diritti umani - organizzazioni come AI e Human Rights Watch - vogliono rivendicare almeno un po' di legittimità morale, devono risolutamente dissociare le loro campagne da coloro che cercano di utilizzarli per depredare e aggredire. Ma non lo fanno.
 
Kovalik e gli altri critici degli "interventi umanitari" e della doppiezza delle organizzazioni per i diritti umani hanno ragione a percepire un odore di ipocrisia. Come Kovalik sottolinea, "l'imparzialità" verso i belligeranti caldeggiata da AI ignora completamente le disuguaglianze di potere che continuano a esistere.
 
All'interno del gretto calcolo della morale basata sui diritti, le asimmetrie di potere, ricchezza e sviluppo non vengono prese in considerazione. La guerriglia rurale in sandali e fucile, deve rispettare le stesse regole di guerra dell'intruso straniero che guida un carro armato di 70 tonnellate. Nello strano universo del settore dell'industria dei diritti umani, non importa se gli oppositori di un regime sono pagati dalla CIA o se sono patriotticamente motivati, il loro diritto al dissenso ha uguale legittimità.
 
E lo stesso rispetto per i diritti umani è atteso da un regime popolare (per esempio, Cuba o Venezuela) che si trovi sotto la minaccia palese e occulta di nemici potenti e da un paese (come gli Stati Uniti) privo di qualsiasi serio pericolo esterno o interno. Ci si aspetterebbe che una organizzazione per i "diritti umani" seria, acclamasse l'orientamento dei diritti civili in paesi come Cuba e Venezuela, i quali hanno migliorato la salute e il benessere delle persone svantaggiate per consentire loro di godere pienamente dei diritti, e condannasse invece un paese come gli Stati Uniti che si sta spostando in modo drammatico verso uno stato di polizia. Ma questo non è il caso.
 
Né la storia modifica gli standard dei diritti umani così come concepiti dalle organizzazioni per i diritti umani in occidente. I paesi che emergono dall'occupazione coloniale con distorsioni civili, tartassati dall'eredità di relazioni sociali ed economiche feudali o che abbracciano tradizioni non occidentali, sono tenuti da AI agli stessi livelli di rispetto dei diritti umani delle nazioni euro-americane che hanno forgiato le loro norme più di due secoli fa. Questa mancanza di comprensione e di tolleranza troppo spesso rivela uno sciovinismo culturale ed etnico grossolano.
 
Con gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO che deviano i loro principi, le organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch hanno molto di cui rispondere. I loro numerosissimi membri che onestamente vogliono aiutare chi è meritevole di sostegno, non possono più ignorare il danno che deriva dall'adesione al programma di chi ha istituzionalizzato i diritti umani e la politica estera maligna degli Stati Uniti e dei loro alleati. L'idea ingenua che i peccati della vittima non siano meno gravi di quelli del carnefice è insostenibile e moralmente cinica.
 
Zoltan Zigedy
 
19/11/2012
 

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