involuzione

involuzione
Poche cose abbiamo imparato dalla storia all'infuori di questa: che le idee si condensano in un sistema di ortodossia, i poteri in una forma gerarchica e che ciò che può ridare vita al corpo sociale irrigidito è soltanto l'alito della libertà, con la quale intendo quella irrequietezza dello spirito, quell'insofferenza dell'ordine stabilito, quell'aborrimento di ogni conformismo che richiede spregiudicatezza mentale ed energia di carattere.
Io sono convinto che se non avessimo imparato dal marxismo a vedere la storia dal punto di vista degli oppressi, guadagnando una nuova immensa prospettiva sul mondo umano, non ci saremmo salvati. O avremmo cercato riparo nell'isola della nostra interiorità o ci saremmo messi al servizio dei vecchi padroni. Ma tra coloro che si sono salvati, solo alcuni hanno tratto in salvo un piccolo bagaglio dove, prima di buttarsi in mare, avevano deposto, per custodirli, i frutti più sani della tradizione intellettuale europea: l'inquietudine della ricerca, il pungolo del dubbio, la volontà del dialogo, lo spirito critico, la misura nel giudicare, lo scrupolo filologico, il senso della complessità delle cose.
Norberto Bobbio

giovedì 25 aprile 2013

L'Occasione mancata di un nuovo "25 aprile" non ideologico ma sostanziale

Antonio Gramsci
 INDIFFERENTI
“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire
 essere partigiani. Chi vive veramente non può non
essere cittadino epartigiano.
L’indifferenza è abulia, è parassitismo,
è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza
 opera potentemente nella storia. Opera passivamente,
ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare;
 è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i
piani megliocostruiti;
è la materia bruta che strozza l’intelligenza.
 Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti,avviene perché
la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia
promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare,
lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potr° rovesciare.
 Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani,
non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della
 vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa;
e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e
tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno
naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono
 vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto,
chi sapeva e
chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.
Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano
oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi
 fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato
di far valere
la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà
fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti.
Chiedo conto a
ognuno di loro del come ha svolto il compito che la
vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e
specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter
 essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà,
di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della
mia parte già pulsare l’attività della città futura
che la mia parte sta
costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su
pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta
al caso, alla
fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non
c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare
mentre i pochi si sacrificano, si svenano.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia,
odio gli indifferenti”.

martedì 23 aprile 2013

AIUTO UN GRILLO !!

Napolitano, la paura fa 90:
di Giovanni Gnazzi
La scelta di un Napolitano-bis è un fatto inedito nella storia della Repubblica. E’ pur vero, però, che poche volte nel corso di questi quasi sessant’anni il sistema italiano ha avuto tanta paura. Lo scenario che si stava configurando, in effetti, rischiava di alterare in profondità la palude del sistema politico e dei suoi lacciuoli. L’elezione al Quirinale di Stefano Rodotà avrebbe prodotto, di per sé e per il Paese, una novità politica di rilievo storico.
Dal momento che nel caso il PD avesse votato per eleggere Rodotà il M5S avrebbe votato la fiducia alla nascita di un governo a guida PD, il contraccolpo politico e istituzionale che si sarebbe determinato avrebbe avuto l’effetto di una deflagrazione per il sistema di potere italiano. La riforma dello stesso, infatti, avrebbe subito un'accellerazione, cominciando proprio dalla riduzione immediata del potere d'interdizione della destra.

C'é poi il fronte delle politiche economiche e il loro riverbero europeo. Un governo che avesse anche solo parzialmente proposto un agenda di modifiche sostanziali nelle politiche per il lavoro e una riforma parziale di quelle fiscali, avrebbe già causato un oggettivo stop alla linea ultra-rigorista tedesca in vigore a Bruxelles. Un governo italiano che avesse puntato con decisione ad un cambio delle politiche di aggiustamento strutturale del debito avrebbe probabilmente innescato un effetto domino su Francia, Spagna, Grecia, Portogallo e Cipro. Si sarebbe forse messo in discussione il dominio assoluto della Germania sull’Europa e questo avrebbe visto il favore degli USA, che vedono le politiche recessive di Bruxelles come freno alla loro ripresa economica.

Non sarebbero mancate le note giaculatorie sui mercati e sull'Italia che rischia di affondare non appena ci si discosta dall'agenda Monti. Ma sono in molti a ritenere che la pur possibile reazione rabbiosa dei fondi speculativi ad una inversione di tendenza nelle politiche di rientro del debito sarebbe stata annullata dal sostegno dei mercati ad un nuovo indirizzo di politica economica che tiri fuori l’Europa del sud dalla recessione. Non perché improvvisamente i mercati siano divenuti attenti agli equilibri socio-economici che puntellano il sistema dell’organizzazione sociale e politica dei paesi, ma perché dalle economie in recessione non è possibile trarre profitti nemmeno con le manovre di Borsa. Solo il recupero della capacità produttiva di un paese e la rigenerazione della domanda interna per far ripartire i consumi, la produzione e con essa anche l'export può determinare una ripresa economica sulla quale, poi, si può operare, tanto industrialmente come finanziariamente.

C’era la possibilità di vedere Rodotà al Quirinale e Bersani a Palazzo Chigi, sarebbe bastato attendere altre votazioni. Il combinato disposto di Quirinale e Palazzo Chigi in mano alla sinistra avrebbe condannato gli sconfitti delle ultime elezioni a rimanere tali per parecchio. Ma un governo a guida PD che oltre ai voti di SEL si fosse dovuto mantenere con quelli determinanti del Movimento 5 Stelle ha decisamente impaurito l’establishment. La scarsa propensione alla mediazione e la decisa tenacia con la quale i grillini dimostrano di voler affondare il coltello del cambiamento nella paralisi del sistema ha spinto il sistema stesso ad una reazione di paura. Il ricorso a Napolitano e la decisione di dare vita ad un governo di unità nazionale, somiglia molto al tentativo di una classe politica sconfitta e priva di prospettive, di mettersi al riparo delle mura del castello dall’alto delle quali pensa di ricacciare indietro le orde del rifiuto e della contestazione.

Per questo ci si affida ad un Presidente quasi novantenne, che avrà con tutta evidenza difficoltà di vario genere a terminare il suo mandato. Ma l’importante era fermare il pericolo ora, alle porte di Bisanzio. L’idea che il programma possa essere quello indicato dai saggi indica con chiarezza cos’ha in testa Napolitano: un piano di riassetto finanziario che veda il proseguimento delle politiche del governo Monti; una riforma della giustizia destinata a garantire il capo della destra italiana per il quale, eventualmente, è pronta la nomina di senatore a vita e, con essa, l’immunità richiesta; una politica estera a sostegno delle avventure militari statunitensi; una riforma della politica che produca cambiamenti insignificanti e che garantisca la sopravvivenza dei partiti e della loro stock option sull’Italia.

Per questo Napolitano torna in campo, facendo finta di non averne voglia. E per questo non è passato Rodotà e non sarebbe passato nemmeno Zagrebelsky. Perché un Presidente della Repubblica che, leale alle prerogative costituzionali, avesse avuto le mani libere nella scelta circa il far proseguire o no la vita della legislatura di fronte all’empasse politico, spaventava. Con eventuali nuove elezioni l’area critica anti-sistema potrebbe seppellire definitivamente - o comunque rendere infinitamente problematico il suo recupero - l’establishment politico, già falcidiato dall’ultimo voto popolare. Qui sta la corsa sotto l’ala protettiva di Napolitano. Il garante dell’establishment è lui; con lui l’Italia non imboccherà il processo di riforme politiche ed economiche destinate a cambiare il Paese. La casta tira un sospiro di sollievo, gli italiani no.

domenica 21 aprile 2013

AIDA ultimo atto

Ultimo gesto di follia di una Italia tanto bella quanto impersonale.Consapevole o inconsapevole vittima sacrificale ottenebrata da fluidi tecnoallucinanti e allucinogeni ?

spezzone tratto dal fim Il Ministro-L'esercizio dello Stato (2013)

venerdì 19 aprile 2013

I perchè della Corea del Nord

L’attuale crisi inter-coreana, la cui massima espressione sembra essere, per ora, un duro confronto diplomatico con consequenziali dimostrazioni di forza militare, ha riportato dopo un certo periodo di tempo l’attenzione dei media internazionali sulla situazione della Penisola di Corea; essi conferiscono però grande spazio unicamente alle cosiddette “minacce” nordcoreane agli Stati Uniti, evitando però arbitrariamente di informare su come e per quali motivazioni si sia giunti fino a queste ultime, contribuendo così a dipingere la RPDC come l’unico e vero responsabile della crisi e un serio ostacolo alla pace mondiale.
Se invece si andasse ad analizzare, da un punto di vista cronologico, gli ultimi avvenimenti nella Penisola, si potrebbe realizzare come la crisi abbia in realtà ben altri istigatori: essa è cominciata nel dicembre dell’anno scorso, mese nel quale la RPDC ha messo in orbita con successo il Kwangmyongsong 3-2, un satellite artificiale atto a scopi pacifici; poiché ciò è avvenuto con l’ausilio di un razzo vettore, gli Stati Uniti hanno accusato la RPDC di aver violato delle risoluzioni ONU che impedivano alla Corea Popolare di mettere in pratica test missilistici, facendo così varare all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Risoluzione 2087, un nuovo pacchetto di sanzioni economiche, inasprendo così l’embargo occidentale alla Corea Popolare, già in vigore da decenni e decenni.
Ciò ha rappresentato una grave violazione del diritto internazionale, in quanto si è negato ad una nazione sovrana, indipendente e riconosciuta internazionalmente di disporre del proprio territorio e delle proprie risorse per un programma di ricerca spaziale pacifico. Dettata dell’ostilità nordamericana nei confronti della RPDC, la motivazione strettamente politica di tale provvedimento e la parzialità degli stessi Stati Uniti nel trattare la questione sono state confermate dal fatto che, avendo anche la Corea del Sud messo in orbita il suo primo satellite artificiale dopo pochi giorni rispetto al Nord (e con le stesse modalità), nulla le è stato detto.
Il 12 febbraio ha quindi avuto luogo il terzo test nucleare della RPDC, facilmente interpretabile come risposta alle provocazioni degli Stati Uniti: il Partito del Lavoro di Corea ha affermato infatti di aver maturato la convinzione di dover continuare a sviluppare un proprio deterrente nucleare per far fronte all’atteggiamento ostile degli Stati Uniti e del governo di Seul. Questi ultimi però, ignorando il clima di tensione che già si stava venendo a creare, hanno voluto calcare la mano, sottoponendo al Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Risoluzione 2094, approvata il 7 marzo scorso. Si tratta di ennesime quanto illegittime sanzioni economiche, atte a minare alla sovranità nazionale e ai diritti internazionali della Corea Popolare. Inoltre, gli Stati Uniti e la Corea del Sud si sono prodigati, come ogni anno, in provocatorie esercitazioni militari congiunte sui confini con la RPDC, quali Foal Eagle e Key Resolve.
Gli Stati Uniti, avendo già poco meno di 30.000 militari di occupazione in Corea del Sud (per non parlare dell’arsenale nucleare che Washington, fin dalla seconda metà degli anni ’50, ha installato nella parte meridionale dell’Antica Penisola di Koryo e nel Giappone), hanno voluto inoltre esportare nella regione ulteriori armi di distruzione di massa, quali ad esempio delle portaerei capaci di trasportare centinaia e centinaia di testate nucleari, o anche gli stessi bombardieri B-2 e B-52, la cui particolarità sarebbe, oltre a quella di poter a loro volta impiegare arsenali nucleari, il poter sfuggire al segnale dei radar nordcoreani.
La Corea Popolare e gli Stati Uniti sono ancora formalmente in guerra (ricordiamo come nel 1953 sia stato firmato, a Panmunjom, un semplice armistizio), ed è quindi inutile dire come il Partito del Lavoro di Corea abbia correttamente interpretato queste misure come atti di aperta ostilità militare, funzionali alla programmazione di un secondo conflitto armato nella Penisola. Fra i provvedimenti presi da Pyongyang abbiamo quindi visto l’annullamento del succitato Armistizio di Panmunjom, la proclamazione dello stato di guerra con Seoul e la consequenziale chiusura della linea telefonica di emergenza col Sud, la cessazione dell’attività del distretto industriale di Kaesong e, a quanto dicono le testate giornalistiche della Casa Blu, l’installazione di due missili balistici sulla costa orientale del Paese, i quali dovrebbero però essere finalizzati non a un attacco preventivo contro le basi degli Stati Uniti nel Pacifico (come invece ha più volte paventato di voler fare la Corea Popolare), ma a semplici test. Si sono poi registrati dei moniti dell’Esercito Popolare di Corea agli Stati Uniti, con questi ultimi indicati dalla Commissione Nazionale di Difesa della RPDC come volontariamente aggressivi e desiderosi di invadere il suo Paese, minando quindi alla pace mondiale.
E’ importante notare come le ultime minacce di un attacco nucleare contro Washington siano state interpretate erroneamente: la RPDC ha sempre affermato categoricamente di non avere alcuna intenzione di scatenare un conflitto nucleare, e che impiegherà il proprio potenziale bellico solo in caso di sconfinamento o di attacco preventivo da parte delle truppe nemiche. Le mistificazioni dei media e il modo in cui la Corea Popolare viene accusata di essere una “minaccia” alla stabilità e alla pace della regione Est Asiatica e del mondo in generale sono certamente deprecabili, soprattutto perché così si diffama un popolo che, dopo aver subito gli orrori dell’imperialismo giapponese, nella guerra del ’50-‘53, scatenata dal maccartismo e dall’anticomunismo statunitense (nonostante in Occidente si tenda quasi sempre a considerare la RPDC la causa prima del conflitto, la questione è fuorviante, in quanto già del ’49 si registrarono pesanti scontri di frontiera, sempre scatenati dal Sud e dalle truppe di occupazione nordamericana; è inoltre opinione di Maurizio Riotto, maggiore studioso europeo di storia, lingua e cultura coreana, che le probabilità che sia stata Seoul ad invadere per prima il Nord siano alte), ha visto morire un milione e mezzo di persone innocenti per mano dei soldati statunitensi, i quali utilizzarono in quest’occasione armi non convenzionali e batteriologiche.
Il voler far apparire la Corea Popolare come un paese guerrafondaio e irrazionale è inoltre totalmente anacronistico, in quanto per sessant’anni il Partito del Lavoro di Corea si è impegnato per la firma di un vero trattato di pace con gli Stati Uniti e Seoul, la denuclearizzazione bilaterale della Penisola e una riunificazione pacifica (a questo proposito, si vedano i dieci punti del Presidente Kim Il Sung circa un’eventuale Repubblica Confederale Democratica di Koryo e l’impegno del Generale Kim Jong Il per un riavvicinamento delle due Coree, inquadrato anche nella Sunshine Policy del sudcoreano Kim Dae Jung).
La RPDC, analizzando l’atteggiamento ostile degli Stati Uniti e facendo perno sulla propria dottrina militare del Songun, ha visto nello sviluppo di un arsenale nucleare un valido deterrente ad una invasione straniera: è in questo contesto che vanno lette le dichiarazioni del leader Kim Jong Un secondo le quali il nucleare rappresenta “la vita della nazione”; esso è infatti una garanzia contro un attacco imperialista, come del resto testimonia il triste destino di paesi quali Iraq e Libia, dimostratisi troppo accondiscendenti nei confronti degli Stati Uniti, cadendo vittime di un intervento straniero.
Dopo il disconoscimento della Casa Bianca dell’accordo del febbraio dell’anno scorso (attraverso il quale la RPDC, in cambio di aiuti energetici e alimentari, si impegnava a concedere una moratoria al suo programma nucleare e missilistico), Pyongyang sta utilizzando l’attuale crisi per condurre un colloquio bilaterale direttamente con gli Stati Uniti, saltando il dialogo con Seoul e con gli altri attori principali della regione (Cina, Russia e Giappone, tutti e tre inseriti nei famosi Colloqui a Sei, ai quali la RPDC ha dichiarato che non prenderà più parte, dopo aver spinto per anni e senza successo alla loro ripresa).
L’obiettivo di una tale trattativa dovrebbero essere il riconoscimento statunitense dello status nucleare della Corea Popolare e, in prospettiva, la firma di un trattato di pace. La RPDC è un paese piccolo, ma con un grande potenziale militare: essa ha, oltre ad un proprio arsenale nucleare, un esercito di un milione e mezzo di soldati effettivi e oltre tre milioni di riservisti.
Nel caso di un attacco, la Corea Popolare farà di tutto per contrastare il nemico, utilizzando ogni mezzo a suo disposizione; in un contesto del genere, la Cina e la Russia dovrebbero giocare un importante e delicato ruolo diplomatico, esponendosi molto di più di quanto invece non stiano facendo adesso (è da notare come i due paesi in questione, nonostante siano formalmente alleati di Pyongyang, abbiano approvato entrambi i piani di sanzioni economiche promossi dagli Stati Uniti contro la RPDC): certamente non sarebbe loro favorevole una maggiore presenza nordamericana nell’Est Asiatico.
La strategia bellicosa e aggressiva degli Stati Uniti e della Corea del Sud ha inoltre deliberatamente ignorato gli inviti alla distensione del nuovo e giovane leader Kim Jong Un, inseriti da quest’ultimo nel suo discorso per l’inizio del 2013, dove egli parla di pace, riunificazione e crescita economica. Una crescita economica alla quale, successivamente al superamento della grave crisi degli anni ’90 da parte del Generale Kim Jong Il, ci si sarebbe potuti dedicare completamente: almeno questo era ciò che il Partito del Lavoro di Corea pensava qualche mese fa. Alla luce delle recenti provocazioni, si è deciso che lo sviluppo economico della Corea Popolare sarà curato parallelamente alla crescita del suo deterrente nucleare, atto a difendere il socialismo coreano.


http://www.italiacoreapopolare.it 

domenica 14 aprile 2013

sabato 13 aprile 2013

Rapporto 2011 Dipartimento Stato Usa sulla libertà di culto in Italia





Il Governo degli Stati Uniti ha discusso con il Governo italiano le questioni
riguardanti la libertà di culto, nell’ambito della sua politica generale volta al rispetto dei diritti umani


 italiano:
     http://www.state.gov/documents/organization/132833.pdf

inglese:
 http://www.state.gov/j/drl/rls/irf/religiousfreedom/index.htm?dlid=192823#wrapper

mercoledì 3 aprile 2013

La Grecia è in guerra e Alba Dorata gioca ai marines

fonte

Potamia dice NO ad Alba Dorata!

Questa volta la propaganda neonazista non ha fatto breccia tra gli abitanti di un villaggio in un'isola nel nord della Grecia, che hanno detto no alla carità razzista dei membri di Alba Dorata.





Il pomeriggio di domenica alcune decine di membri del partito neonazista ellenico Alba Dorata si sono presentati nella piazza principale di Potamia, un piccolo centro nell’isola greca di Thassos, una delle più povere e depresse del paese. Con loro avevano un camion carico di alimenti ed altri generi di prima necessità, che avevano intenzione di distribuire agli abitanti, come sono soliti fare da tempo. Ma solo a quelli greci. Un modo per alimentare il razzismo e farsi propaganda a buon mercato, che purtroppo in molti casi funziona e permette ai neonazisti di diventare punto di riferimento di ampie fasce sociali schiacciate dalla crisi e dai piani lacrime e sangue della troika.

Ma questa volta, in maniera probabilmente inaspettata, gli abitanti del villaggio non si sono messi in fila a ricevere la carità e ad ascoltare i proclami razzisti della banda neonazista. Al contrario i membri di Alba Dorata sono stati ricevuti da una folla di manifestanti che gridavano slogan contro il fascismo e la xenofobia, e innalzavano striscioni e cartelli che dicevano chiaramente "Il fascismo non passerà". A scendere in piazza un centinaio di persone, aderenti ad alcune associazioni del villaggio, ad un club di tifosi di calcio e ai partiti di sinistra, che hanno confinato in un angolo i nazisti impedendogli di scaricare i prodotti da distribuire dal camion e obbligandoli a togliere le tende dopo circa mezzora.

Scrive in un comunicato la sezione di Syriza dell’isola di Thassos: “Si tratta di un successo fenomenale del movimento antifascista e di una risposta netta del popolo democratico e radicale di Thassos contro lo spaventoso espandersi del fenomeno neo-nazista nel nostro paese. La gente dell'isola ha mostrato la strada a tutti noi su come combattere e sconfiggere il fascismo attraverso una mobilitazione massiccia e di base”.

Si tratta di un episodio importante, per quanto avvenuto in un piccolo villaggio dell’isola nel nord della Grecia, in un paese nel quale i fascisti grazie alle coperture istituzionali, alle complicità delle forze di sicurezza e alla crescente disperazione sociale trovano sempre maggiori spazi per la propria propaganda.