involuzione

involuzione
Poche cose abbiamo imparato dalla storia all'infuori di questa: che le idee si condensano in un sistema di ortodossia, i poteri in una forma gerarchica e che ciò che può ridare vita al corpo sociale irrigidito è soltanto l'alito della libertà, con la quale intendo quella irrequietezza dello spirito, quell'insofferenza dell'ordine stabilito, quell'aborrimento di ogni conformismo che richiede spregiudicatezza mentale ed energia di carattere.
Io sono convinto che se non avessimo imparato dal marxismo a vedere la storia dal punto di vista degli oppressi, guadagnando una nuova immensa prospettiva sul mondo umano, non ci saremmo salvati. O avremmo cercato riparo nell'isola della nostra interiorità o ci saremmo messi al servizio dei vecchi padroni. Ma tra coloro che si sono salvati, solo alcuni hanno tratto in salvo un piccolo bagaglio dove, prima di buttarsi in mare, avevano deposto, per custodirli, i frutti più sani della tradizione intellettuale europea: l'inquietudine della ricerca, il pungolo del dubbio, la volontà del dialogo, lo spirito critico, la misura nel giudicare, lo scrupolo filologico, il senso della complessità delle cose.
Norberto Bobbio

martedì 18 marzo 2014

RIVOLUZIONI SOCIALI MONOPOLIO DELLE DESTRE

da GLOBALPROJECT

17 / 3 / 2014
Le recenti manifestazioni di massa generate nei paesi più diversi dalle destre, mostrano la capacità di quest'ultime di appropriarsi di simboli che prima disdegnavano, introducendo un elemento di confusione nelle file della sinistra.
Il 17 di febbraio del 2003 Patrick Tyler, dalle colonne del New York Times riflettendo su quanto stava accadendo per le strade del mondo scriveva: “Le enormi manifestazioni contro la guerra di questo fine settimana sono un messaggio chiaro che nonostante tutto ci sono due superpotenze nel pianeta: gli Stati Uniti e l’opinione pubblica mondiale”
“Guardati intorno e vedrai un mondo in ebollizione” scriveva l’editore statunitense Tom Engelhardt, editore della pagina “tomdispatch”. In effetti, dieci anni dopo il celebre articolo del Times, che fece il giro del mondo a sostegno del movimento contro la guerra, non c’è quasi un angolo del mondo dove non esista ebollizione popolare, in particolare a partire dalla crisi del 2008.
Si potrebbero enumerare la Primavera Araba che ha rovesciato dittatori e ha riguardato buona parte del mondo arabo; Occupy Wall Street, il più grande movimento critico dagli anni sessanta a questa parte negli Stati Uniti; gli indignati greci e spagnoli che nuotano fra i disastri sociali provocati dalla mega speculazione. In questo preciso momento, Ucraina, Siria, Sudan del Sur, Thailandia, Bosnia, Turchia e Venezuela sono investite da proteste, mobilitazioni e azioni di strada del significato più diverso.
Paesi che da decadi non conoscevano proteste sociali come il Brasile sono in attesa di manifestazioni durante il Mondiale dopo che in 350 città abbiamo osservato come il malcontento e l’inquietudine conquistava le piazze .In Cile si è consolidato un potente movimento studentesco che non mostra segni di stanchezza e in Perù il conflitto che riguarda il settore minerario compie più di un secolo senza aver ammainato bandiera.
Quando l’opinione pubblica ha la forza di una superpotenza, i governi si propongono di cavalcarla, amministrarla, ricondurla verso luoghi più confortevoli che il conflitto di piazza, coscienti che con la repressione e basta non si ottiene un granché. Per questo i saperi che prima erano monopolio delle sinistre, dei partiti, dei sindacati e dei movimenti sociali, oggi trovano concorrenti capaci di mobilitare masse, però con fini opposti a quelli che questa sinistra desidera.
Stile militante:
Dal 20 al 26 marzo del 2010, nel dipartimento uruguayano di Colonia, venne realizzato un “Campeggio Latinoamericano di Giovani Attivisti Sociali”(http://alainet.org/active/37263), durante il quale era previsto “uno spazio di scambio orizzontale” per lavorare ad     “un’America Latina più giusta e solidale”. Fra i centinaia di attivisti che parteciparono, nessuno si rese conto da dove venissero i soldi che servirono per pagare i trasporti e la permanenza in loco, ne’ chi fossero in realtà gli organizzatori. ( Alai, 9 aprile del 2010)
 Un giovane militante si dedicò ad investigare chi fossero i Giovani Attivisti Sociali, gli organizzatori di incontri partecipativi volti a “cominciare a costruire una memoria viva delle esperienze di attivismo sociale della regione; imparare dalle difficoltà, identificare buone pratiche locali utilizzabili a livello regionale e massimizzare il risultato della creatività e l’impegno dei protagonisti”.
Il risultato dell’indagine gli permise di accertare che il campeggio contò con l’aiuto dell’ Open Society Instute di Goerge Soros e di altre istituzioni vincolate a quest’ultimo. La sorpresa fu maiuscola perché nel campeggio si realizzavano assemblee orizzontali, falò e lavori collettivi con cartelloni, con wiphalas (Bandiera dei “Popoli Originari” spesso associata a cocaleros, ai movimenti sociali boliviani e andini in generale. N.d.T) e bandiere indigene. Decorazioni e stili che facevano pensare ad un incontro della famiglia dei Forum Sociali e del congiunto di attività militanti che utilizzano simboli e metodologie simili. Alcuni dei seminari utilizzavano metodologie identiche a quelle dell’educazione popolare di Paulo Freire, che solitamente vengono utilizzate da movimenti antisistemici.
Quel che è certo è che un buon numero di militanti fu usato, “democraticamente” si intende, perché tutti assicurarono di aver avuto la possibilità di esprimere la propria opinione rispetto agli obiettivi del campeggio, opposti a quelli per cui vi avevano preso parte. Questo stesso  modello di insegnamento fu applicato in varie ex repubbliche sovietiche dalla fondazione di Soros, durante la rivolta in Kirghikistan del 2010 e durante la rivoluzione arancione del 2004 in Ucraina.
Certamente ci sono molte altre fondazioni e le più disparate istituzioni che inviano finanziamenti e istruttori per gruppi affini, di modo da indire manifestazioni e rovesciare i governi che si oppongono a Washington. Nel caso del Venezuela, sono state denunciate in vari casi agenzie come il Fondo Nazionale per la Democrazia(NED nella sua sigla inglese), creata dal Congresso degli Stati Uniti durante la presidenza Reagan. O la spagnola Fondazione di Analisi e Studi Sociali( FAES), guidata dall’ex-presidente José MaríaAznar
Ora ciò a cui ci troviamo davanti è una realtà più complessa: come l’arte del conflitto di piazza, soprattutto volta a rovesciare governi, è stata assimilata dalle forze conservatrici.
L’arte della confusione
Il giornalista Rafael Poch descrive il dispiegamento delle forze nella Piazza Maidan di Kiev: “All’apice delle mobilitazioni un numero che si aggirava sulle 70 mila persone si è concentrato nella piazza, in questa città che conta 4 milioni di abitanti. Fra di loro c’è una minoranza di persone, equipaggiata con elmi, spranghe, scudi e mazze per affrontare la polizia. E dentro a questa collettività c’è uno zoccolo duro di chissà mille o mille cinquecento persone ne più ne meno che paramilitari, un gruppo disposto a morire e ad uccidere, che rappresenta un’altra categoria. Questo zoccolo duro ha fatto uso di armi da fuoco” ( La Vanguardia, 25 febbraio 2014).
Questa maniera di schierare le forze per la guerriglia urbana non è nuova. Nel tempo è stata utilizzata da soggetti diversi fra loro e antagonisti, per ottenere obiettivi a volte opposti. Il dispositivo che abbiamo osservato in Ucraina si ripete parzialmente in Venezuela, dove gruppi armati si inflitrano in manifestazioni più o meno importanti con l’obiettivo di rovesciare un governo, generando situazioni di ingovernabilità e caos finché non ottengono il proprio obiettivo.
La destra ha imparato la lezione dall’enorme esperienza insurrezionale della classe operaia, principalmente europea, e dalle sollevazioni popolari che si sono susseguite in America Latina a partire dal Caracazo del 1989. Uno studio comparativo di ambedue i momenti dovrebbe tenere in considerazione le enormi differenze fra le insurrezioni operaie delle prime decadi del XX secolo, dirette da partiti e organizzate solidamente, e le sollevazioni dei settori popolari avvenute negli ultimi anni del medesimo secolo.
In ogni caso, le destre sono state capaci di creare un dispositivo “popolare” uguale a  quello descritto da Rafael Poch, per destabilizzare governi popolari, dandoci l’impressione di trovarci davanti a mobilitazioni legittime che finiscono col rovesciamento di governi illegittimi, anche se questi stessi governi sono stati eletti e mantengono l’appoggio di settori significativi della popolazione. A questo punto, la confusione è un’arte tanto decisiva come l’arte dell’insurrezione un tempo dominata dai rivoluzionari.
Cavalcare l’onda
Un’ arte molto simile è quella mostrata dai gruppi conservatori in Brasile durante le manifestazioni di giugno. Mentre alle prime manifestazioni  quasi non viene accordata una copertura mediatica, salvo sottolineare il “vandalismo” dei manifestanti, a partire dal giorno 13, quando centinaia di migliaia di persone conquistano le strade, si produce un’inflessione.
Le manifestazioni conquistano i titoli dei giornali ma si produce ciò che la sociologa brasiliana Silvia Viana definisce come “ricostruzione della narrativa”, finalizzata ad altri scopi. Il tema del prezzo del biglietto passa in secondo piano, si enfatizzano le bandiere Brasiliane e lo slogan “Abbasso la corruzione”, che fino ad allora non avevano caratterizzato le mobilitazioni (Le Monde Diplomatique, 21 giugno 2013). I grandi media cancellano i movimenti che hanno convocato le manifestazioni e mettono al loro posto i social networks, arrivando a criminalizzare i settori più militanti per la loro supposta violenza, lasciando la violenza poliziesca in secondo piano.
In questo modo, la destra, che in Brasile non ha la capacità di mobilitarsi, ha provato ad appropriarsi di mobilitazioni i cui obiettivi( la denuncia della speculazione immobiliare e le megaopere per il Mondiale), era ben lontana da condividere. “E’ chiaro che non c’è lotta politica senza una disputa per i simboli”, assicura Viana. In questa disputa la destra, che ora adorna i propri golpe con cose come “la difesa della democrazia”, ha imparato la lezione più rapidamente che i suoi nemici.
Raúl Zibechi,  scrittore e giornalista uruguayano, autore di “ Dispersar el poder” e “Autonomías y Emancipaciones”, scrive su Brecha e La Jornada , collabora con  The Guardian e ALAI.
*Traduzione curata da Giovanni Cattaruzza

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