Nonostante la fulgida reputazione di cui gode tra i
"progressisti" borghesi nel mondo anglofono, Kovalik era turbato dalla
posizione di AI sulla guerra in Libia e del ruolo giocato
nell'incoraggiare un coinvolgimento degli Stati Uniti e della NATO. Dopo
un suo articolo dal titolo "Libia e l'ipocrisia occidentale sui diritti
umani" apparso sulla rivista Counterpunch del 23 ottobre, AI
ha lanciato un contrattacco scritto dal suo dirigente Sunjeev Bery. La
risposta di Bery ha trovato ampia diffusione tra i sostenitori di AI
nella comunità internet quale esempio di "mancata comprensione" dei
principi e degli obiettivi di AI.
Nella sua replica, apparsa su Counterpunch dell'8
novembre, Kovalik controbatte le argomentazioni di Bery e dimostra con
chiarezza ancora maggiore come AI abbia aiutato a sfondare la porta
dell'ingerenza straniera in Libia e come, consapevole o meno che fosse
(è difficile immaginare qualcuno inconsapevole), abbia fornito una
giustificazione dubbia ma influente per un tale intervento.
AI, insieme ad altri fautori di un'interpretazione
altrettanto ristretta e miope dei diritti umani, ha una lunga e
disonorevole storia a sostengo di quelli che si trovano dalla parte
sbagliata nella lotta per la giustizia, ignorando le disuguaglianze
materiali, gli squilibri di potere e le oppressioni di classe ed etnia, e
riducendo la questione della giustizia a una faccenda di coscienza
individuale e a una serie conservatrice di diritti negativi. Certo non
vuol dire che queste preoccupazioni siano sbagliate, ma riguardano solo
una piccola parte delle preoccupazioni della stragrande maggioranza
dell'umanità. In realtà, riguardano coloro che sono meno toccati dalle
devastazioni del capitalismo predatorio e dai suoi esecutori militari:
riguardano quelli che vivono nei paesi più sviluppati, e tra questi i
più privilegiati dei ceti medi e alti.
Quando AI è stata fondata nel 1961, gran parte del
mondo era impegnata in un'intensa lotta per l'indipendenza
dall'imperialismo e dal neo-colonialismo. Dall'Algeria al Vietnam, dalla
Repubblica del Congo a Cuba, dal profondo sud razzista degli Stati
Uniti al Sudafrica e alle colonie portoghesi africane: milioni di
persone erano impegnate a lottare risolutamente per
l'autodeterminazione. Sotto il giogo dei ricchi e dei potenti, i popoli
dell'Asia, dell'Africa, del Medio Oriente, dei ghetti e delle periferie
del Primo Mondo, erano in rivolta contro i loro oppressori. L'ONU ha
riconosciuto questo movimento potente, ne ha certificato l'autenticità e
ne ha attestato la legittimità adottando nel 1960 la Dichiarazione sulla Concessione dell'Indipendenza ai Paesi ed ai Popoli Coloniali che dichiara quanto segue:
1. L'assoggettamento dei popoli alla sottomissione,
al dominio e allo sfruttamento straniero costituisce una negazione dei
diritti umani fondamentali, è contraria alla Carta delle Nazioni Unite
ed è un impedimento alla promozione della pace e della cooperazione nel
mondo.
2. Tutti i popoli hanno il diritto
all'autodeterminazione, in virtù di tale diritto essi determinano
liberamente il proprio status politico e perseguono liberamente il
proprio sviluppo economico, sociale e culturale.
3. L'inadeguatezza della preparazione politica,
economica, sociale o educativa non dovrebbe mai servire da pretesto per
ritardare l'indipendenza.
4. Tutte le azioni armate o misure repressive di
ogni genere nei confronti dei popoli dipendenti cesseranno al fine di
consentire loro di esercitare pacificamente e liberamente il loro
diritto alla piena indipendenza, e l'integrità del loro territorio
nazionale verrà rispettata.
Forse è stata una coincidenza, ma proprio nel
momento in cui queste lotte erano al centro dell'attenzione del mondo,
AI ha scelto di deviare la discussione sulla questione dei diritti umani
su altri binari, lontano dai diritti dei popoli sottomessi, per
concentrarsi sui diritti di individui che la dirigenza dell'AI aveva
vagliato e patentato come "prigionieri di coscienza" . Entro la metà
degli anni Sessanta, i leader riconosciuti a livello internazionale di
movimenti anti-coloniali per l'indipendenza come Nelson Mandela, allora
in carcere, sono stati esclusi dalla categoria "prigionieri di
coscienza", perché proponevano la resistenza armata contro i loro
oppressori. Allo stesso tempo, artisti, scrittori e altri intellettuali
dissidenti nei paesi socialisti e paesi meno sviluppati assurgevano a
candidati idonei all'attenzione di AI, in particolare da parte dei sui
membri negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale.
Sia stata collaborazione oppure casualità, gli abusi
denunciati dalla leadership di AI venivano prontamente abbracciati dai
grandi media capitalisti, in piena sincronia con le posizioni in
politica estera degli Stati Uniti e dei suoi alleati europei nella
Guerra Fredda. Le poche denunce di presunte violazioni dei diritti umani
nei paesi occidentali non attiravano l'attenzione del pubblico, mentre
le accuse mosse nei confronti dei governi dell'Est e del Sud del mondo
venivano a svolgere un ruolo sempre maggiore nel campo della diplomazia e
degli interventi dei paesi occidentali. Persino Peter Benenson,
fondatore di AI, espresse a metà degli anni sessanta preoccupazioni che
l'organizzazione fosse eccessivamente influenzata dai servizi segreti
britannici.
Nella battaglia delle idee durante la Guerra Fredda,
AI si è dimostrata una grande risorsa per gli Stati Uniti e i suoi
alleati, abilmente plasmando questioni che diventavono pilastri della
politica e delle leve di negoziazione. L'interpretazione restrittiva
dell'Atto Finale della Conferenza di Helsinki del 1975, una
interpretazione che dava maggiore importanza all'Articolo 7 rispetto
agli altri nove articoli e a tutte le altre disposizioni, segnò la
vittoria più importante della collaborazione durante la Guerra Fredda
tra le organizzazioni occidentali per i diritti umani e i governi
occidentali. La maggior parte degli attivisti per i diritti umani e la
giustizia sociale nella sfera di influenza di Amnesty International
difficilmente identificano nelle disposizioni dell'Atto, altro che
l'approvazione di una non ben definita libertà di coscienza.
In particolare l'Articolo 6, il principio di
non-ingerenza negli affari di altri governi, non è stato né riconosciuto
né rispettato dai gruppi per i diritti e dai governi in occidente.
Costruendo le loro azioni sulla base dell'Articolo 7, i governi
capitalisti hanno montato un'offensiva massiccia sulla questione dei
diritti umani contro i paesi socialisti e antimperialisti, a scapito dei
movimenti di liberazione nazionale, contro il nucleare e la guerra, i
quali esprimevano le pressanti preoccupazione della maggior parte delle
persone meno abbienti in quel momento. Gran parte del merito per aver
impostato la questione in tali termini era delle organizzazioni per i
diritti umani. Il loro limitato e superficiale approccio alla giustizia
sociale, le ha attratte in una campagna calcolata contro l'ondata del
socialismo così impetuosa a metà degli anni settanta.
Naturalmente anche i diritti positivi inerenti
l'uguaglianza, l'istruzione, il tempo libero, l'abitazione, la pace,
ecc., sono stati spazzati via nella celebrazione dell'individualità e
della libertà di espressione individuale, che Marx ha definito "... i
diritti dell'uomo egoistico, dell'uomo separato dagli altri uomini e
dalla comunità".
Dopo la Guerra Fredda
Con la scomparsa della comunità socialista europea e
la creazione di un nuovo equilibrio di potere favorevole alle potenze
capitaliste occidentali, l'imperialismo ha ulteriormente cooptato la
causa dei diritti umani, riducendola a pretesto per le guerre di
aggressione. Con nessuno a difendere e far valere i diritti delle
nazioni all'autodeterminazione, gli Stati Uniti e i loro alleati della
NATO hanno cinicamente creato una politica estera predatrice intorno
all'idea di tutelare e promuovere i diritti umani e la democrazia, una
politica usata per giustificare gli interventi armati intrapresi in modo
aperto nei Balcani e in Medio Oriente e in modo occulto in decine di
altri paesi. Mentre i sostenitori dei diritti umani in occidente
restavano in silenzio.
Incoraggiati dall'efficacia della copertura, gli
Stati Uniti e i loro alleati hanno sponsorizzato centinaia di ONG per "i
diritti umani" e "la democrazia" sostenendo di promuovere dei valori
più alti, mentre sovvertivano governi ostili agli obiettivi degli Stati
Uniti e della NATO. Finanziate da USAID e da altre agenzie governative
dai nomi innocui, come istituto del partito Repubblicano o del partito
Democratico, influenzano elezioni, fomentano colpi di stato e manipolano
le opposizioni in paesi come Ucraina, Libano, Venezuela, e molti altri.
Introducendosi di nascosto nella tenda dei diritti umani, queste
organizzazioni sfruttano la preoccupazione occidentale per i diritti
umani individuali a scapito dei diritti garantiti dalla Dichiarazione
delle Nazioni Unite del 1960 e altre dichiarazioni che affermano il
diritto all'autodeterminazione. Mentre i sostenitori dei diritti umani
in occidente continuano a restare in silenzio.
Se i luminari in materia di diritti umani -
organizzazioni come AI e Human Rights Watch - vogliono rivendicare
almeno un po' di legittimità morale, devono risolutamente dissociare le
loro campagne da coloro che cercano di utilizzarli per depredare e
aggredire. Ma non lo fanno.
Kovalik e gli altri critici degli "interventi
umanitari" e della doppiezza delle organizzazioni per i diritti umani
hanno ragione a percepire un odore di ipocrisia. Come Kovalik
sottolinea, "l'imparzialità" verso i belligeranti caldeggiata da AI
ignora completamente le disuguaglianze di potere che continuano a
esistere.
All'interno del gretto calcolo della morale basata
sui diritti, le asimmetrie di potere, ricchezza e sviluppo non vengono
prese in considerazione. La guerriglia rurale in sandali e fucile, deve
rispettare le stesse regole di guerra dell'intruso straniero che guida
un carro armato di 70 tonnellate. Nello strano universo del settore
dell'industria dei diritti umani, non importa se gli oppositori di un
regime sono pagati dalla CIA o se sono patriotticamente motivati, il
loro diritto al dissenso ha uguale legittimità.
E lo stesso rispetto per i diritti umani è atteso da
un regime popolare (per esempio, Cuba o Venezuela) che si trovi sotto
la minaccia palese e occulta di nemici potenti e da un paese (come gli
Stati Uniti) privo di qualsiasi serio pericolo esterno o interno. Ci si
aspetterebbe che una organizzazione per i "diritti umani" seria,
acclamasse l'orientamento dei diritti civili in paesi come Cuba
e Venezuela, i quali hanno migliorato la salute e il benessere delle
persone svantaggiate per consentire loro di godere pienamente dei
diritti, e condannasse invece un paese come gli Stati Uniti che si sta
spostando in modo drammatico verso uno stato di polizia. Ma questo non è
il caso.
Né la storia modifica gli standard dei diritti umani
così come concepiti dalle organizzazioni per i diritti umani in
occidente. I paesi che emergono dall'occupazione coloniale con
distorsioni civili, tartassati dall'eredità di relazioni sociali ed
economiche feudali o che abbracciano tradizioni non occidentali, sono
tenuti da AI agli stessi livelli di rispetto dei diritti umani delle
nazioni euro-americane che hanno forgiato le loro norme più di due
secoli fa. Questa mancanza di comprensione e di tolleranza troppo spesso
rivela uno sciovinismo culturale ed etnico grossolano.
Con gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO che
deviano i loro principi, le organizzazioni per i diritti umani come
Amnesty International e Human Rights Watch hanno molto di cui
rispondere. I loro numerosissimi membri che onestamente vogliono aiutare
chi è meritevole di sostegno, non possono più ignorare il danno che
deriva dall'adesione al programma di chi ha istituzionalizzato i diritti
umani e la politica estera maligna degli Stati Uniti e dei loro
alleati. L'idea ingenua che i peccati della vittima non siano meno gravi
di quelli del carnefice è insostenibile e moralmente cinica.