fonte
di
Sandro Moiso
Ivan Cicconi,
Il libro nero dell'Alta velocità, Koinè Nuove Edizioni 2011, pp.190, euro 14,00
Il titolo è di quelli che non brillano per originalità.
I banchi delle librerie sono inflazionati di “libri neri” e di “libri
che...non vi avrebbero fatto leggere” e, probabilmente, l 'autore
avrebbe preferito quello che è stato scelto come sottotitolo: “Il futuro
di Tangentopoli diventato storia”, sicuramente più consono all'indagine
contenuta al suo interno.
Ma tant'è e, sinceramente, senza quel riferimento all'Alta Velocità, forse, non lo avrei preso nemmeno in mano.
Eppure ci troviamo davanti non solo ad un testo tra i più ricchi di
informazioni sulla “grande truffa dell'Alta Velocità”, ma che ci
permette anche di comprendere più a fondo le strategie del capitalismo
odierno e, allo stesso tempo, le radici dell'attuale crisi economica.
Un libro che, per chi non lo avesse ancora capito, dimostra come la
lotta e le lotte No Tav non siano solo lotte ambientali o localistiche,
ma lotte che si pongono al centro dello scontro tra un sistema di
sfruttamento parassitario destinato storicamente a fallire e le esigenze
di una società altra in cui sono rappresentati gli interessi del 99%
della popolazione (conscia o meno che sia del fatto).
Per citare direttamente il testo:”
Questo fenomeno dei cosiddetti
No-Tav, in un certo senso, rappresenta un paradigma dell'Italia di
questa fase che non si è contrapposto alla modernizzazione, come si è
ostinatamente cercato di far apparire, ma ha, anzi, rappresentato e
rappresenta un modello da cui non si dovrebbe prescindere. Infatti,
esaltando le fondamenta della democrazia, ha fatto emergere – forse non
poteva essere disgiunto - competenze e culture tecniche elevate, apparse
ancora più grandi di fronte all'insipienza, la superficialità, la
grossolanità delle competenze espresse dalle istituzioni” (pp. 9 – 10).
Ma chi si avvicinasse al testo nella speranza di trovarvi esposta una
cronaca dettagliata delle vicende e delle lotte No-Tav, ed in
particolare dell'esperienza valsusina, si sbaglierebbe e potrebbe
rimanerne deluso.
Qui è indagato il lungo percorso politico-economico ed istituzionale che
ha portato alla realizzazione di uno dei mostri più ripugnanti prodotti
dal genio tardo-capitalistico.
Genio, sì genio (naturalmente malefico) volto a ridistribuire la
ricchezza sociale prodotta in una sola direzione e a vantaggio di una
sola classe: quella degli imprenditori e dei loro apparatniki di partito
(qualunque possa questo essere nell'ambito parlamentare).
Genio, istigato dalla crisi storica dell'attuale modo di produzione,
volto a dilapidare il patrimonio economico e tecnologico socialmente
accumulato, distribuendo le perdite e i costi di strategie fallimentari
sulle spalle dell'intera società, pur di continuare ad estendere i
profitti privati di un sempre più ristretto numero di rappresentanti
del capitale e della finanza nazionale ed internazionale.
Ma, come in ogni buon libro di fantasy, già al suo primo apparire
questo mostro e questo cattivo genio che lo ha prodotto sono stati
accompagnati da una maledizione, che qui prende l'aspetto di una lettera
scritta nel febbraio del 1993 dall'allora ottantenne presidente
onorario del PSDI, Luigi Preti, al responsabile economico della DC,
Beniamino Andreatta.
“
Caro Andreatta, dal punto di vista economico la questione della
cosiddetta Alta velocità è sicuramente la più grossa da metà secolo ad
oggi per la spesa immensa che comporterebbe. Le Ferrovie Spa parlano di
30 mila miliardi per non allarmare troppo l'opinione pubblica, ma in
realtà pensano che si tratterebbe almeno di 50 mila miliardi. Io però,
documentandomi come ex ministro dei Trasporti con valorosi tecnici,
penso che si arriverebbe a 100 mila. E' una cifra da capogiro, ed è una
truffa (...)” (pag.28).
L'ultimo incarico ministeriale di Preti era stato proprio al
dicastero dei Trasporti nel quinto governo Andreotti negli anni 1979 –
1980, nel periodo in cui la lobby dei costruttori iniziava a premere sui
governi al fine di aprire anche in Italia i cantieri per l'Alta
velocità già a pieno regime nella vicina Francia. Ma con Preti “i
pretoriani del ferro e del cemento” avevano trovato le porte sbarrate.
Al di là dei meriti e demeriti di un ministro della cosiddetta Prima
repubblica, quello che è interessante qui notare è come la storia della
AV sia ormai trentennale ed abbia attraversato un lungo periodo di
storia italiana, segnato da scandali, corruttele e scomparsa di partiti
storici o meno della tradizione politica italiana, senza mai perdere la
sua centralità e la sua aggressiva volontà di realizzazione.
Fino a diventare quello che, in anni più recenti, il ministro Lunardi
avrebbe definito come “il modello TAV”, legalizzato con la Legge
obbiettivo del 2002.
Il modello in fin dei conti non costituiva una grande novità, si
trattava di massimizzare i profitti di un investimento a costo quasi
zero per i privati, attraverso il finanziamento statale dei debiti da
essi accumulati nei confronti delle banche cui erano stati richiesti i
prestiti necessari per l'investimento iniziale. Insomma, come al solito,
scaricare sullo stato e sui cittadini le perdite e i costi, accrescendo
in maniera smisurata il debito pubblico, per soddisfare la voracità e
la fame di profitti facili ed elevati delle maggiori aziende italiane e
dei loro partner commerciali (banche) e politici.
Il bello è che negli anni sono spesso cambiati i partner pubblici
(offuscati o eliminati da scandali ed inchieste o semplicemente da
ribaltoni istituzionali), ma poco gli agenti diretti di Monsieur Le
Capital. Prima fra tutti la FIAT, che sotto varie forme e identità
societarie, dall'Avvocato al figlio più che putativo Luca Cordero di
Montezemolo, è passata da ditta fornitrice di locomotori e treni ( con
la Materferro, FIAT Materiali Ferroviari) a general contractor o ditta
capofila (FIAT SpA) dei vari consorzi creati ad hoc per la realizzazione
delle varie tratte della AV e, in fine, all'utilizzo puro e semplice
delle tratte già costruite con treni della NTV SpA (di Luca Cordero di
Montezemolo e Raniero Della Valle) destinati a trarre dal servizio
fornito solo i profitti senza, ancora una volta, pagare i costi di
realizzazione e manutenzione delle linee utilizzate.
Tutto ciò nell'arco di un trentennio in cui si sono succeduti al
Ministero dei Trasporti uomini provenienti da ogni settore dell'arco
parlamentare: Claudio Signorile (dal 4/8/1983 al 1/8/1986 e dal
1/8/1986 al 17/4/1987); Giovanni Travaglini (17/4/1987 – 28/7/1987);
Calogero Mannino (28/7/1987 – 13/4/1988); Giorgio Santuz (13/4/1988 –
22/7/1989); Carlo Bernini (22/7/1989 – 12/4/1991 e 12/4/1991 –
28/6/1992); Giancarlo Tesini (28/6/1992 – 28/4/1993); Raffaele Costa
(28/4/1993 – 10/5/1994); Publio Fiori (10/5/1994 – 17/1/1995); Giovanni
Caravale (17/1/1995 – 17/5/1995); Claudio Burlando (17/5/1995 –
21/10/1998); Tiziano Treu (21/10/1998 – 18/12/1999); Pierluigi Bersani
(22/12/1999 – 25/4/2000 e 25/4/2000 - \11/6/2001); Pietro Lunardi
(11/6/2001 – 23/4/2005 e 23/4/2005 – 17/5/2006); Alessandro Bianchi e
Antonio Di Pietro ( 17/5/2006 – 8/5/2008) e Altero Matteoli
(dall'8/5/2008 fino alle dimissioni dell'ultimo governo Berlusconi).
Cifre e nomi come da lapidi mortuarie.
Lapidi mortuarie per il debito pubblico italiano, cresciuto a dismisura
non a causa di pensioni, servizi sanitari e scuola, ma all'ombra di
progetti spesso bloccati virtualmente, ma mai realmente fermati,
giustificati ideologicamente solo dal project financing ovvero dalla
menzogna che tali opere fossero realizzate con un contributo rilevante
dei privati (circa il 60% dei costi) mentre in realtà è stato solo e
sempre lo stato a pagare sia la realizzazione che il saldo dei debiti e
degli interessi debitori sui prestiti richiesti dai privati alle banche
per il presunto finanziamento privato per le opere pubbliche.
Balle, clamorose balle, anzi balloons fumettistici.
Degni dei sogni post-fonduta di Little Nemo, eppure spacciati come verità indiscutibili.
Così come i dati sulla necessità di tali opere ferroviarie, destinate a
soddisfare le richieste soltanto del 5% dell'utenza del trasporto
pubblico e ad escludere o danneggiare il rimanente 95%.
Opere dal pomposo nome di Corridoio europeo numero cinque, che vedeva
collegate due linee, la verticale Milano – Napoli e la trasversale
Torino – Venezia, e che avrebbero successivamente visto inserire, a
partire dal 2001, la linea Milano – Torino nel “famoso” corridoio
europeo numero uno.
Con tutto quello che ne è conseguito in termini di occupazione e
militarizzazione del territorio, fino all'odierno muro di Gaza-Chiomonte
atto a proteggere i lavori per la perforazione del territorio
valsusino.
Balle e balletti in cui se la ballerina capofila, la FIAT, non è mai
cambiata, il vorticoso danzare ha visto il coinvolgimento di giganti del
cemento (Ligresti), gruppi bancari oggi al governo (San Paolo),
architetti di fama internazionale (Lorenzo Piano) e di tutti i generi di
cooperative bianche e rosse, solo per citare alcune delle altre
“ragazze” della chorus line. Contiguità e continuità di interessi che
ben spiega la protervia e l'arroganza con cui si continua a d affermare
la necessità dell'ineluttabile realizzazione della TAV, anche a costo di
utilizzare l'esercito per il mantenimento dell'ordine pubblico. In Val
di Susa e in qualsiasi altro luogo ove l'opposizione alle nuove linee si
facesse troppo decisa e determinata.
Sogni, deliri, balle destinati però a gravare per i decenni a venire sul debito pubblico italiano.
Destinati a farlo crescere esponenzialmente con gli interessi dovuti
alle banche per prestazioni, opere e programmi spesso mai realizzati.
Sogni estremamente concreti però dal punto di vista dei profitti
incamerati dalle società appaltatrici dei lavori e dei progetti.
Basti un dato tratto dal libro di Cicconi, a cui si rimanda per
l'approfondimento di tutte le questioni tecnologiche e finanziarie oltre
che per quelle riguardanti le denunce e gli scandali esplosi anche a
livello internazionale intorno all'affaire TAV: l'inserimento della
linea Milano – Torino nel corridoio europeo numero uno prevedeva su
quella linea ”
il passaggio di 160 coppie di treni al giorno, 120 per
passeggeri e 40 per le merci. Nel 2010 sulla nuova tratta AV/AC Milano –
Torino passano 9 coppie di treni al giorno per passeggeri e non passa
nessun treno merci. Previsioni sbagliate? No, erano semplicemente
invenzioni per giustificare la realizzazione di una nuova tratta
assolutamente inutile ed a “redditività” negativa” (pag.97).
Siamo alle solite: balle!
Per offuscare la verità di una società ormai solo più basata sulla
rapina e sullo sfruttamento intensivo e non duraturo della forza lavoro.
Una società in cui il keynesismo, che fin dalle parole del suo ideatore
inglese altro non è mai stato che la faccia “democratica”
dell'intervento statale fascista nell'economia, è passato direttamente
alla sola fase finanziaria. Sostegno diretto alle banche e al capitale
finanziario senza nemmeno più preoccuparsi della creazione di posti di
lavoro reali o di una qualche forma di realizzazione del valore, a monte
o a valle del processo.
Citare altri dati sarebbe far torto al libro di Cicconi, che andrebbe
davvero letto da tutti coloro che non solo si oppongono al delirio di
onnipotenza della TAV, ma anche da chi si preoccupa di comprendere e
combattere gli attuali meccanismi di ripartizione del plusvalore e della
ricchezza.
Un unico appunto si può fare al testo ed è quello di cadere spesso, come accade alla scuola de “
Il fatto quotidiano”,
in una sorta di moralismo nazionalistico di stampo montanelliano che
esclude completamente la lotta di classe dal suo orizzonte.
Ma saranno i movimenti di oggi e di domani a far esplodere le balle
dei sostenitori della TAV, del governo Monti e di chi finge di opporsi
ad esso in salsa parlamentare.
Sarà comunque il 99% ad affossare definitivamente la società dell'1% con
tutti i suoi monumenti allo spreco e tutte le sue inutili menzogne.