Si è tenuta la scorso 7 novembre a Bologna una conferenza di Luciano Vasapollo, professore di Metodi
di Analisi dei Sistemi Economici alla Sapienza-Università di Roma e,
inoltre, professore all’Università de La Habana (Cuba) e all’Università
Hermanos Saìz Montes de Oca di Pinar del Rio (Cuba). La serata – organizzata dalla Rete dei Comunisti di Bologna e aperta dal poeta argentino Hector Celano - ha voluto proporre una riflessione sull’Alleanza bolivariana dei popoli di Nuestra America (ALBA).
Una realtà difficile quanto ricca di opportunità
Ha introdotto i relatori Francesco Olivo,
membro del Coordinamento dei giovani della Rete dei Comunisti. Egli ha
voluto sottolineare come i movimenti di trasformazione sociale – di
fronte all’incisiva offensiva del capitale, sotto il profilo economico e
politico – si inseriscono in un contesto alquanto negativo, in cui,
sostanzialmente, si riscontra una stasi importante che mette in
difficoltà la progettualità politica e la sua affermazione concreta.
Tuttavia – parallelamente – le economie dell’occidente capitalista sono
confrontate con una crisi economica di carattere sistemico che,
evidenziando alcune contraddizioni dell’attuale modello di sviluppo,
permette – potenzialmente – di ritornare con rinnovata carica sul
terreno della proposta politica rivolta all’alternativa sociale. In
questo stato di cose se, da una parte, si presenta il decadimento della
posizione imperiale degli Stati Uniti, dall’altra si osserva l’emergere
di formazioni regionali – i BRIICS – che stanno acquistando
progressivamente rapporti di forza a livello internazionale in termini
economici e politici. All’interno di questa cornice la questione
latino-americana e, segnatamente, la galassia dei paesi aderenti
all’AlBA, si presenta come una questione di centrale interesse.
La cultura come motore della trasformazione
Il poeta argentino Hector Celano – fondatore del Comitato internazionale per la liberazione dei 5 anti-terroristi cubani (arrestati
nel 1998 a Miami dall’FBI e isolati in celle di punizione per 17 mesi
prima che il loro caso fosse portato di fronte ad un tribunale: la loro
missione negli Stati Uniti era il monitoraggio delle attività delle
organizzazioni terroristiche contro Cuba)
– ha voluto rimarcare la fondamentale importanza della dimensione
culturale all’interno dell’alleanza bolivariana. La costruzione di un
progetto come quello dell’ALBA richiede – per forza di cose –
l’attivazione di un processo di mobilitazione della società che passi
per il cuore e per le emozioni. Tale dinamica, infatti, fortifica e
stimola la lotta per la giustizia sociale: parlare direttamente alle
genti, coinvolgerle mettendo un bagaglio artistico-culturale si presenta
in tal senso quale operazione di fondamentale importanza nel processo
di trasformazione sociale. E, tutto ciò, nel contesto latino-americano,
si concretizza attraverso la necessità di conferire rinnovata vitalità
alla cultura pre-colombiana: si tratta – quest’ultima – di un patrimonio
d’inestimabile valore in nessun modo eludibile anche e soprattutto per
il fatto che conserva elementi di assoluta attualità: si pensi al ruolo
svolto dai valori ruotanti attorno al concetto di Pachamama (in lingua quechuala Madre Terra, divinità venerata dagli Inca
e da altri popoli abitanti l’altopiano andino che, nel processo
d’integrazione bolivariano, ha trovato rinnovato vigore anche e
soprattutto nel connotare il senso più profondo del cambiamento in atto) e anche, per fare un altro esempio, alla celebre promessa che, nel 1781, il capo ribello aymare Tùpak Katari,
prima di essere torturato e squartato vivo dai colonizzatori spagnoli,
volle fare: “tornerò e sarò milioni”. Ed è proprio con questi
riferimenti storici capaci, a distanza di molto tempo, di creare
un’efficace mobilitazione identitaria, che la cultura bolivariana vuole
dialogare. Peraltro questa operazione di recupero si configura quale
contro-tendenza al modello occidental-capitalista di intendere il
funzionamento e lo sviluppo delle società umane: un’arma concreta e ad
alto valore aggiunto per combattere la pervasività dei grandi mezzi
d’informazione eterodiretti e, più in generale, lo sfacelo causato dai
disvalori che caratterizzano i modelli di mercato.
Hector
Celano – concludendo il suo intervento – ha voluto mettere in evidenza
un elemento di centrale importanza al fine di comprendere nella loro
essenza i processi di trasformazione sociale: le contraddizioni, la
concretezza che sfugge ai modelli teorici. In tal senso – attraverso una
formulazione certamente efficace, che risente della sua vena poetica –
ha paragonato l’alleanza bolivariana ad un parto doloroso e difficile.
Quest’ultimo appunto – che poi si ripresenterà anche nella relazione di
Luciano Vasapollo – è apparso come un messaggio chiaro rivolto a tutte
quelle realtà politiche-partitiche che si prodigano in una continua
critica – che nella maggior parte delle volte è meramente distruttiva –
ad una realtà in transizione come quella bolivariana, evidenziandone –
all’interno di un discorso de-storicizzante e de-contestualizzante –
pecche e limiti. Insomma, una tale alterazione dello stato di cose
qual’è la costruzione del socialismo bolivariano – anche pensando al
processo rivoluzionario cubano – non può in nessun modo essere pura e
immacolata. In stretto collegamento a ciò, il poeta argentino ha infine
sottolineato la fondamentale importanza dell’appoggio internazionale al
processo che si cristallizza nell’ALBA.
L’ALBA come risultato di una paziente quanto attiva presenza all’interno delle contraddizioni nazionali
Hugo Chavez
– come figura politica di calibro continentale – non giunge affatto da
un momento all’altro, ma, invece, si caratterizza proprio per un lavoro
di lungo periodo nella realtà sociale e politica del Venezuela. Nel
1989, nel paese, vi fu una protesta popolare – detta caracazo –
contro il caro-vita, nell’ambito della quale la popolazione prese di
mira i supermercati: l’esercito uccise 3’000 persone e, in tale delicato
frangente, Chavez – all’epoca ufficiale tra le file dell’esercito
venezuelano – rifiutò, assieme ad altri colleghi che condividevano
l’ottica bolivariana, di scendere in piazza e, di conseguenza, il loro
operato venne sottoposto a controllo. Nel 1992 un gruppo di militari
bolivariani tentò una ribellione: il sommovimento venne soffocato
dall’esercito e Hugo Chavez recluso. Durante il soggiorno in prigione
egli – tra gli altri, a testimonianza della rete di contatti di ampio
respiro che gradualmente si andò a comporre – incontrerà periodicamente Jorge Giordani,
ovvero l’attuale ministro dell’economia e della pianificazione del
Venezuela (nonché studioso di Gramsci). Hugo Chavez – che dichiarerà
molto più tardi la sua adesione al marxismo – poco dopo l’uscita dalla
prigione, inizia l’attività politica con il movimento progressista e,
parallelamente a questa esperienza, coglie immediatamente il valore
strategico dell’unità continentale (la Nuestra America, appunto).
Una visione geo-politica che è al contempo culturale: nell’ambito della
narrazione collettiva di questa nuova realtà, per esempio, sarà infatti
fondamentale integrare una figura come quella del Libertador Simon Bolivar.
Nel frattempo, in Bolivia, Evo Morales,
dato che le miniere in cui lavorava chiusero i battenti, si trasferì in
campagna, dove partecipò alla coltivazione delle foglie di coca (le
quali – per gli andini – hanno prima di tutto un importante valore
intrinseco: esse permettono di convivere con il problema
dell’ossigenazione che si riscontra nelle alture e, inoltre, si
caratterizzano per un valore proteico e sanitario-farmaceutico molto
alto): ivi assumerà la direzione del sindacato dei cocaleros, con
il quale porterà avanti numerose battaglie per il progresso. Nel 1998
si presenta alle elezioni, ma raccoglie pochi consensi (1,2%). Il
processo di radicamento nelle contraddizioni della realtà boliviana
tuttavia non s’interrompe. Importanti, in tal senso, gli sviluppi
teorici e pratici che ruotano attorno al concetto del vivir bien (cioè
la vita in armonia con la natura: un’altra volta ancora si osserva il
recupero della parte più florida delle ancestrali culture continentali),
che, oltre ad avere un legame armonico con il sopracitato concetto di Pachamama, si contrappone al vivir mejor di
provenienza occidentale. Evo Morales, non a caso, una volta alla guida
della Bolivia, dedicherà una parte della costituzione boliviana proprio
ai diritti della Pachamama, di cui l’uomo è componente e non,
invece, entità indipendente. Questo intenso lavoro creativo quanto
concreto a contatto con le contraddizioni della realtà boliviana darà i
suoi frutti: presentatosi alle elezioni del 2005, Evo Morales –
sostenuto da una confederazione di movimenti e organizzazioni politiche –
s’imporrà conseguendo il 54% dei voti.
Il processo bolivariano: un’alternativa continentale
Il 14 dicembre 2004 nasce l’ALBA. Originariamente, tuttavia, questa sigla voleva significare Alternativa Bolivariana per le Americhe:
un accordo tra il governo venezuelano e quello cubano nell’ambito del
quale, tra le altre cose, il primo avrebbe fornito risorse petrolifere e
il secondo personale medico e scolastico (il Venezuela, due anni dopo
questo storico accordo, verrà dichiarato paese libero
dall’analfabetismo). Nel 2005 – a testimonianza del procedere di questa
sinergia – si pone la questione basilare della comunicazione, che è
anche e soprattutto ideologico-culturale. La riflessione che fa
approdare a questo punto è molto semplice: non ci si afferma
concretamente se non si attua una partecipazione attiva nella
definizione dei mezzi di comunicazione: Hugo Chavez, in tal senso, proporrà la geniale idea di Telesur,
la televisione bolivariana, che si configurerà fin da subito come
strumento fondamentale per la diffusione degli ideali e delle parole
d’ordine di questa realtà in divenire.
Nel 2005 – come detto – Evo Morales
vince le elezioni in Bolivia: nel 2006 porta il suo paese nell’ALBA;
nel 2007 il Nicaragua e, nel 2009, l’Ecuador, si aggiungeranno a loro
volta. Nel frattempo l’organizzazione assume il nominativo attuale: Alleanza Bolivariana per i popoli di Nuestra America.
Tale processo d’integrazione dell’America Latina si configura
sostanzialmente in contrapposizione e, di conseguenza, in alternativa
all’imperialismo statunitense. Gli accordi economico-commerciali che
caratterizzano tale alleanza s’inscrivono in un quadro complessivo i cui
principi fondanti – in antitesi ai modelli del profitto e dell’economia
di mercato – sono la solidarietà e la complementarietà (per la quale
ogni paese membro s’impegna ad offrire quanto di meglio riesce a
realizzare). A dettare legge non è certo il paese con il tasso maggiore
di produttività.
ALBA e Unione Europea: due processi d’integrazione opposti
In
base a quanto appena detto possiamo desumere come l’ALBA non possa in
nessun modo essere paragonata all’Unione Europea: siamo confrontati con
due processi d’integrazione (tra stati nazionali) completamente diversi
e, perdipiù, opposti. L’Unione Europea, infatti, si caratterizza per
un’integrazione fondata sui valori di mercato (liberoscambismo e
concorrenza al ribasso sui fattori di produzione) in cui non ha
rilevanza la spesa sociale: in tale contesto i rapporti interni
all’euro-polo a guida germanica (che – fondandosi essenzialmente
sull’irrorazione dei prodotti del modello esportatore germanico nel
resto dell’Europa – crea squilibri a livelli di bilancia commerciale,
sanati tramite il prestito dei paesi in attivo a quelli in passivo a cui
consegue l’indebitamento e le conseguenti imposizioni della Troika)
possono essere paragonati a quelli che sussistevano tra Stati Uniti e
America Latina nel momento in cui il Fondo Monetario Internazionale
(FMI) imponeva i cosiddetti piani di aggiustamento strutturale ai paesi
indebitati. In teoria – peraltro – una moneta dovrebbe rappresentare la
ricchezza creata da un paese: l’Euro, essendo basato sul potere del
marco tedesco, è una moneta comune non ponderata sulla ricchezza creata
dalle singole nazioni componenti (la capacità produttiva della Germania –
infatti – è circa due volte quella italiana): non a caso in Italia –
dopo l’introduzione della moneta europea – si è presentato un movimento
inflativo (il potere d’acquisto si dimezzerà) determinato dalla
rimozione delle differenze nazionali in termini di capacità produttiva.
Dal canto suo il Sucre, ovvero una
moneta di conto virtuale creata fra i paesi dell’Alba per equilibrare i
commerci interni al gruppo e bypassare l’uso del dollaro, parte da
premesse certo alternative. La sua virtualità è data sostanzialmente
dalla volontà di evitare che la speculazione internazionale agisca in
termini di svalutazione. I mercati internazionali sono attualmente
dominati dal dollaro statunitense, che si presenta come moneta di
riferimento internazionale da tutti utilizzata nell’ambito degli scambi:
tale stato di cose soffoca gravemente – attraverso la speculazione su
tassi di cambio – coloro i quali la debbono usare come intermediario
commerciale. La moneta bolivariana virtuale, in tal senso, evita questo
attacco speculativo di carattere monetario e predispone delle partite
compensative tra i paesi aderenti. La prospettiva futura va ricercata
nel rafforzamento del Sucre
e, conseguentemente, nel suo diventare moneta effettiva tendenzialmente
immune alla speculazione. Già attualmente con i paesi dell’ALBA
commerciano nazioni che accettano il sistema delle partite di
compensazione (cioè triangolazioni che sopperiscono alle mancanze
interne e premiano le eccellenze). In tal senso la Cina – che in nessun
modo è assimilabile a un partner
imperialista – è uno dei maggiori partner dei paesi dell’ALBA (si pensi
in particolare a Cuba, la quale accoglie molti studenti cinesi e in
cambio ottiene strumentazioni tecnologiche e mezzi di trasporti). Nei
paesi dell’ALBA – infine – la priorità politica determina le scelte
economiche: succede cioè il contrario rispetto alle recenti vicende
europee, dove l’economia (e, specificatamente, l’interesse economico
delle classi dominanti) comanda sulla politica.
La reazione dei “vecchi padroni” e delle forze reazionarie interne
L’Impero,
tuttavia, non sta con le mani in mano e agisce attraverso varie
coordinate: si va dalla disinformazione e destabilizzazione interna alle
varie realtà nazionali, ai tentativi di colpo di stato (in Honduras,
nel 2009, il ribaltamento militare del legittimo governo del Presidente Zelaya
– reo di essersi avvicinato all’ALBA – è alquanto emblematico). Si
ricordino inoltre gli attacchi ai policlinici cubani in Venezuela e in
generale i disordini squadristi che la destra (fortissima, spietata e
dotata di contatti internazionali molto importanti) ha causato nel paese
durante le elezioni del 2013. Sempre nel Venezuela attualmente
governato da Nicolas Maduro si è presentato un fenomeno molto
pericoloso che indica come l’asticella dello scontro sia stata alzata a
livelli importanti da parte delle forze anti-governative: l’inflazione
speculativa. Una quota considerevole dei prodotti alimentari venezuelani
vengono illegalmente portati in Colombia: il Venezuela, a questo punto,
è costretto a riacquistarli e a rimetterli sul mercato in dollari
statunitensi, il cui cambio “in nero” – a causa di un processo
speculativo che sfrutta le necessità materiali della popolazione – è in
continuo aumento (1:40). Questa preoccupante dinamica rappresenta solo
una delle tante operazioni messe in campo dalle forze reazionarie locali
– che continuano pervicacemente la loro lotta di classe – in stretta
connessione con i potentati economici statunitensi.
La ricerca dell’alternativa sociale: un percorso forzosamente intricato
Insomma,
quella bolivariana è una difficile realtà di governo e di transizione.
Di fronte alle oggettive limitazioni che caratterizzano l’attuale
realtà, l’unico socialismo costruibile è – per così dire – quello
possibile, quello concretamente sviluppabile in un ben preciso contesto
regionale. Luciano Vasapollo non tergiversa sul significato di questo
postulato: date ben precise relazioni di forza a a livello
internazionale, continentale e nazionale, il processo bolivariano di
transizione al socialismo potrebbe spegnersi anche a causa di un
semplice “soffio”, di un nonnulla che inceppi un meccanismo che, per
forza di cose, non è ancora dotato di anticorpi tali da essere immune ad
elementi de-stabilizzanti.
In
tal senso, la storia della rivoluzione cubana, è altamente istruttiva.
Il processo rivoluzionario si confrontò con difficoltà oggettive
soverchianti fin dall’inizio del tentativo di rovesciamento della
dittatura di Batista: chi, infatti, avrebbe mai scommesso su una
quindicina di disorientati e malridotti guerriglieri? Ma i problemi non
si fermarono certo alla fase rivoluzionaria: Cuba è l’unica fiaccola
accesa in America Latina che rischia di spegnersi dopo la caduta del
muro di Berlino (l’85% del commercio cubano era con i paesi del
COMECON), Cuba soffre atrocemente nel Periodo especial, con un
PIL del – 355%. Cuba ancor oggi è un esempio da seguire: ci indica la
possibilità di risolvere – mettendo in campo tutte le energie possibili –
una situazione oggettivamente intricata, affollata di contraddizioni.
Il cammino bolivariano: un percorso di lungo periodo
Luciano Vasapollo ha
voluto inoltre sottolineare come, se da una parte, la dinamica della
storia ha dimostrato di non essere caratterizzata dalla linearità (si
sono infatti potute osservare – nel corso del tempo – una serie di
rotture improvvise), dall’altra non è in nessun modo possibile pensare i
processi di trasformazione sociale (ed in generale il corso storico) in
termini di età biologica. Un’operazione di questo genere apre a
conseguenze molto gravi poiché, sostanzialmente, trasforma la tattica in
strategia. Ci vollero 500-600 anni di travaglio per sistematizzare in
modo definito il capitalismo, i cui originari abbozzi si ebbero con le
prime banche del XII° Secolo e con la parziale assunzione dello statuto
di merce da parte dei beni prodotti (dalle prime imprese capitaliste).
Nell’arco di questo lungo periodo si posero eventi determinanti: la
scoperta dell’America (che permise – spillando una linfa preziosa dalle
“vene aperte dell’America” – l’accumulazione primitiva), la rottura
politica rappresentata dalla Rivoluzione francese (con cui la borghesia
si presentò come classe politica dirigente) e, infine, la prima
rivoluzione industriale (che affermò economicamente il modo di
produzione capitalista). Furono necessarie numerose generazioni affinché
il processo di affermazione del capitalismo potesse avere luogo. È,
peraltro chiaro che, se il senso della
rivoluzione va ricondotto all’operazione di cambiare tutto ciò che
bisogna cambiare per soppiantare un modo di produzione con un altro, non
è possibile pensare a questo processo in termini di immediatezza.
Le
naturali contraddizioni interne al processo di trasformazione
bolivariano vanno inserite – al fine di individuarne l’essenza – nel
contesto da cui scaturiscono. Si tratta, in tal senso, di una cornice –
quella latino-americana – non certo priva di elementi – a livello
politico, economico e culturale – che collidono con l’affermazione di
una tale ribaltamento dei canoni di organizzazione della società.
Il socialismo quale graduale erosione delle tracce del passato
L’ALBA
non è un laboratorio per la transizione, ma, invece, un’alleanza che
sta costruendo concretamente la transizione, cioè il passaggio ad un
altro regime produttivo. Costruire il socialismo significa edificare la
nuova società sulle “macerie” di quella precedente (che, appunto,
proietta le sue “macerie”, quindi elementi – seppur disgregati, non più
sistematizzati – che ancora permangono al decadere del sistema di
riferimento). La transizione, dunque, si configura come percorso in
divenire, che convivrà – per forza di cose – con forme di capitalismo,
fino a quando esse saranno “naturalmente” dissolte in conseguenza allo
svanire delle condizioni che determinano il loro emergere. Alla luce di
tutto ciò è quindi più che normale che, nei paese aderenti all’ALBA, vi
siano ancora imprese private: è passato in fondo solo un decennio e –
come sappiamo – i processi storici – nel caso concreto quelli relativa
all’edificazione di un’alternativa di società – si muovono su una
dimensione di lungo periodo in cui gli scatti in avanti – non meditati,
non rientranti in una strategia che consideri la transizione in ottica
diacronica – sono certamente pericolosi. È inoltre di fondamentale
importanza la questione dei rapporti di forza: riconoscere,
innanzitutto, che il socialismo – per forza di cose – viene coltivato su
di un terreno sfavorevole, costituisce il primo passo per la
disposizione di una progettualità politica aderente alla realtà. Luciano
Vasapollo ha voluto chiudere la sua relazione ricordando l’importante
frase pronunciata da Fidel Castro: “rivoluzione è il senso del
momento storico”. Insomma, oggi è più che mai necessario comprendere la
necessità di vivere, pensare e lavorare all’interno del proprio periodo
storico, evitando di rifugiarsi in una teoresi astratta e non in grado
di comprendere che i processi rivoluzionari nascono nel seno di una
società che cova profonde contraddizioni. È fondamentale partire dalle
condizioni oggettive caratterizzanti il periodo storico in cui ci
troviamo a vivere per individuarvi le premesse di una trasformazione
sociale e conseguentemente, per strutturare l’agente che possa
effettivamente abbozzare la transizione: il senso della trasformazione
sociale va fatto emergere dalla realtà concreta con la quale i soggetti
sociali si trovano confrontati.