Demagogia sociale per impedire
lo sviluppo del movimento rivoluzionario
Abbiamo sempre messo in
guardia dal pericolo fascista e dall’importanza di tenere vivo l’antifascismo in
particolare nei periodi di crisi e non solo economica. Da tempo lottiamo per
fare chiudere le sedi delle varie sigle sotto le quali si celano i nuovi
fascisti che, pur mantenendo saluti romani ed iconografia tipica del ventennio
si manifestano con una politica populista e “sociale”. La storia insegna che
quando manca il Partito comunista, quando la classe operaia è divisa e
influenzata dai partiti revisionisti, quando i sindacati confederali collaborano
con il sistema (prefigurano addirittura una cogestione delle imprese sul modello
tedesco), quando i partiti cosiddetti di “sinistra” abbandonano – oltre alla
lotta di classe - la lotta antifascista e si concentrano solo su problemi di
natura istituzionale come la legge elettorale che permetta loro di arrivare e
mantenere il potere ignorando le condizioni dei lavoratori visti solo come massa
di manovra elettorale, avanzano le forze reazionarie.
Di fronte alla crisi
economica che sta colpendo sempre più vasti strati di popolazione – dai
lavoratori autonomi ai piccoli imprenditori - il capitalismo non esita a trovare
forme nuove pur di mantenere il proprio dominio su tutta la società. Così i
“forconi” – dei quali si è sentito parlare un anno fa in Sicilia diretti da
Forza nuova – si sono organizzati a livello nazionale. In varie città d’Italia,
camuffati da movimento 9 dicembre, i fascisti di Casaggi, Casa Pound, Forza
nuova, con l’inserimento della Lega nord e di camorristi, hanno strumentalizzato
il malcontento e il disagio di certi strati sociali, arretrati, e piccola
borghesia che oggettivamente sono stanchi della classe dirigente di turno ma che
non hanno strumenti politici-ideologici per analizzare la situazione e rendersi
conto che dietro certi parole d’ordine c’è il vuoto, forse l’abisso. Lo
spasmodico uso del tricolore, il martellante richiamo all’essere italiani – che
sottintende l’odio verso gli immigrati -, le intimidazioni ai negozianti per la
chiusura della bottega, non lasciano dubbi. Così come il permissivismo degli
agenti di polizia, tanto rilassati di fronte alle proteste da togliersi il
casco: ordine dall’alto o gesto di insubordinazione? Non succede così quando si
tratta di manifestazioni operaie, dei minatori, dei pastori sardi, degli
studenti, come hanno dimostrato proprio negli stessi giorni a Venezia, Torino,
Genova. Non si sono tolti i caschi i poliziotti in assetto da combattimento a
Torino durante una pacifica manifestazione contro gli accordi tra i governi di
Italia e Israele non certo favorevoli agli italiani, né ai palestinesi.
Forze di polizia che a Roma hanno permesso ai
fascisti di casa Pound di salire fino al primo piano di un palazzo
istituzionale, scala spalla, e fare
le loro pagliacciate, prima di intervenire.
Anche i mass-media – che
si sono accorti della lotta dei tranvieri genovesi dopo 4 giorni - si sono
distinti nell’amplificare sia la protesta che i loschi leader. E non poteva
mancare la benedizione del Papa.
C’è qualcuno della galassia gruppettara di sinistra alla ricerca di visibilità, Carc in testa, che valuta positivamente questo movimento che non è rivoluzionario, ma conservatore. Pensa di inserirsi in un presunto tentativo di egemonizzare e guidare la Vandea reazionaria con il solo risultato di accodarsi ai fascisti di Casa Pound. Una posizione pericolosa e disarmante che frena la vigilanza nei confronti del pericolo fascista e che, se proiettata sul piano internazionale, li vedrebbe a fianco dei rivoltosi in Siria o in Ucraina. Confondono le masse – anche nel 1980 i 40mila della Fiat erano da considerare masse su cui intervenire? - con il ruolo della classe operaia e dell’avanguardia creando ancora più danni all’ideologia comunista, come se già non bastassero gli attacchi della borghesia. Movimento che ci riporta alla cosiddetta “rivolta dei Boia chi molla” quando alla fine degli anni ’70, inizio ’80 il missino Ciccio Franco, esponente della Cisnal, capeggiò l’organizzazione universitaria Fuan (del MSI)) . Slogan del quale si fregiarono molti altri e diversi politici italiani e alcuni intellettuali.
C’è qualcuno della galassia gruppettara di sinistra alla ricerca di visibilità, Carc in testa, che valuta positivamente questo movimento che non è rivoluzionario, ma conservatore. Pensa di inserirsi in un presunto tentativo di egemonizzare e guidare la Vandea reazionaria con il solo risultato di accodarsi ai fascisti di Casa Pound. Una posizione pericolosa e disarmante che frena la vigilanza nei confronti del pericolo fascista e che, se proiettata sul piano internazionale, li vedrebbe a fianco dei rivoltosi in Siria o in Ucraina. Confondono le masse – anche nel 1980 i 40mila della Fiat erano da considerare masse su cui intervenire? - con il ruolo della classe operaia e dell’avanguardia creando ancora più danni all’ideologia comunista, come se già non bastassero gli attacchi della borghesia. Movimento che ci riporta alla cosiddetta “rivolta dei Boia chi molla” quando alla fine degli anni ’70, inizio ’80 il missino Ciccio Franco, esponente della Cisnal, capeggiò l’organizzazione universitaria Fuan (del MSI)) . Slogan del quale si fregiarono molti altri e diversi politici italiani e alcuni intellettuali.
È lo stesso Gramsci a
metterci in guardia sulla disgregazione e le distinte volontà delle masse quando
si chiede se il Partito comunista deve porsi sul terreno di “ubbidire alla
volontà delle masse in generale”. E la risposta la trova nel distinguere le
varie volontà: quella comunista, massimalista, riformista, democratica liberale
e fascista. Perché, sostiene Gramsci, fino a quando sussiste il regime borghese,
col monopolio della stampa in mano al capitalismo e quindi con la possibilità
per il governo e i partiti borghesi di impostare le questioni politiche a
seconda dei loro interessi presentati come interessi generali, fino a quando
potranno essere diffuse impunemente le menzogne più impudenti contro il
comunismo è inevitabile che le classi lavoratrici abbiano parecchie volontà.
Ecco la differenza rappresentata dal partito comunista che rappresenta gli
interessi dell’intera classe ma che attua la volontà solo di una determinata
parte delle masse, quella più avanzata, il proletariato che vuole rovesciare il
regime esistente con i mezzi rivoluzionari per fondare il comunismo.
Non c’è progetto per la
classe lavoratrice, nel movimento 9 dicembre, se non quello di usare la violenza
fine a se stessa ed agitare la sollevazione per rendere ingovernabile la
situazione e chiedere una soluzione autoritaria come espressa peraltro
apertamente con l’auspicio di un governo militare o delle regioni, disegno che
marcia di pari passo con quello
reazionario di instaurare un
nuovo ordine mondiale e con i programmi basati sull’”uomo forte” del piduista
Gelli. Esplosa, probabilmente non a
caso, dopo il passaggio di Forza Italia all’opposizione e in seguito alle
denunce di colpo di Stato e alle chiamate di Berlusconi alla rivoluzione nel
caso del suo arrestarlo. Ma potrebbe anche essere una prova di blocco
reazionario. Ci ricordiamo bene l’esperienza del Cile.
Un anno è passato con le continue illusioni che la situazione stava migliorando, ora che siamo alla fine vogliono convincerci che il prossimo sarà migliore, che ci sarà la ripresa. Chi ci crede? La classe operaia e le masse popolari sono le più saccheggiate sul piano occupazionale, ma anche dei servizi. I pendolari sono costretti a trasporti simili a quello del bestiame nonostante gli alti costi delle tariffe. I tagli nella sanità che obbligano gli operatori a turni massacranti con rischi per se stessi e i pazienti, costringono i malati a pagare ticket e a liste d’attesa interminabili per analisi e ricoveri in ospedali sempre più lontani per la chiusura dei presidi locali. Sparirà la prevenzione a favore della… privatizzazione!
Per battere il capitalismo, le sue tendenze autoritarie, i suoi strumenti usati per attingere a livello di massa ai fini di preservare il suo dominio, è sempre più pressante la necessità di costruire il Partito comunista in grado di ricompattare l’unità di classe e dare uno sbocco politico che non cada nell’interclassismo e chiarisca il ruolo del proletariato e delle sue alleanze. Ma nel frattempo i comunisti devono continuare ad operare contro gli attacchi del fascismo e dei suoi complici ovunque si manifesti.
Un anno è passato con le continue illusioni che la situazione stava migliorando, ora che siamo alla fine vogliono convincerci che il prossimo sarà migliore, che ci sarà la ripresa. Chi ci crede? La classe operaia e le masse popolari sono le più saccheggiate sul piano occupazionale, ma anche dei servizi. I pendolari sono costretti a trasporti simili a quello del bestiame nonostante gli alti costi delle tariffe. I tagli nella sanità che obbligano gli operatori a turni massacranti con rischi per se stessi e i pazienti, costringono i malati a pagare ticket e a liste d’attesa interminabili per analisi e ricoveri in ospedali sempre più lontani per la chiusura dei presidi locali. Sparirà la prevenzione a favore della… privatizzazione!
Per battere il capitalismo, le sue tendenze autoritarie, i suoi strumenti usati per attingere a livello di massa ai fini di preservare il suo dominio, è sempre più pressante la necessità di costruire il Partito comunista in grado di ricompattare l’unità di classe e dare uno sbocco politico che non cada nell’interclassismo e chiarisca il ruolo del proletariato e delle sue alleanze. Ma nel frattempo i comunisti devono continuare ad operare contro gli attacchi del fascismo e dei suoi complici ovunque si manifesti.
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