Una riflessione giuridica in risposta alle dichiarazioni della dott.ssa Gilmore sul diritto di rifiutare una vaccinazione
“Non esiste il diritto a rifiutare la vaccinazione, quando le conseguenze di questo rifiuto devono essere supportate da altri.” Questo il messaggio diffuso dalla Vice Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite Kate Gilmore in occasione del Forum sulla Salute Globale tenutosi a Ginevra lo scorso 19 marzo. L’affermazione non fa che ricalcare il refrain ripetuto, fino all’esasperazione, dai decisori politici, siano essi esponenti dell’attuale Governo o di quello precedente. Il concetto è giuridico, prima che sanitario, e merita un approfondimento.
La Costituzione Italiana, all’art. 32, prevede che la salute sia diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività.
Nel lontano 1986 la Corte si espresse al riguardo precisando che “La lettera del primo comma dell’art. 32 Cost., che non a caso fa precedere il fondamentale diritto della persona umana alla salute all’interesse della collettività alla medesima, ed i precedenti giurisprudenziali, inducono a ritenere sicuramente superata l’originaria lettura in chiave esclusivamente pubblicistica del dettato costituzionale in materia.” (Corte Costituzionale nr. 184/1986).
Non è un caso, quindi, che sia stato menzionato prima il diritto fondamentale alla salute e poi l’interesse collettivo, ma risponde a una precisa gerarchia di valori.
Accanto al diritto fondamentale alla salute corre quello di rifiutare un trattamento sanitario, specie se presenti dei profili di rischio.
La sentenza 118/1996 della Corte Costituzionale, resa proprio in tema di vaccinazioni obbligatorie, ebbe a precisare che in questi casi il legislatore si trova di fronte alle cd. “scelte tragiche” del diritto: quelle in cui il diritto individuale alla salute, e quindi al rifiuto di un trattamento sanitario, si può trovare in contrasto con l’interesse della collettività.
Può accadere che il singolo, risultato danneggiato dal trattamento che gli è stato imposto, si trasformi in un martire per il Bene Comune. In questi casi avrà diritto che la collettività si faccia carico delle conseguenze pregiudizievoli da lui riportate e gli riconosca un giusto indennizzo (da ciò la legittimazione della Legge 210/92).
E’ conclusione ovvia delle pregresse osservazioni che le “scelte tragiche del diritto” siano anche eccezionali, e possano verificarsi solo in presenza di indefettibili presupposti.
Ecco che un trattamento sanitario può essere imposto, accettando il rischio del sacrificio del singolo, solo laddove ciò sia assolutamente indispensabile, ovvero quando la minaccia alla salute pubblica sia di tale gravità da far assurgere il mero interesse della collettività al rango di vero e proprio diritto, in grado di competere con quel diritto fondamentale del singolo tutelato, expressis verbis, dalla Costituzione.
La minaccia deve quindi essere grave, attuale, concreta e coinvolgere l’intera popolazione, non certo solo una parte di essa (gli immunodepressi o i soggetti non vaccinabili), a meno di introdurre una competizione tra pretese di singoli individui.
Era legittimo un obbligo vaccinale contro malattie che si presentavano come veri e propri flagelli, pensiamo al vaiolo o alla polio nel secondo dopoguerra.
Autorizzando il ricorso alla vaccinazione obbligatoria per qualunque patologia, anche del tutto innocua per la maggior parte delle persone, si giungerebbe a ritenere che non di “scelta tragica” si tratti bensì di ordinaria amministrazione. Di prassi legislativa che si aspetta il sacrificio del martire, che lo considera dovuto e che, di fatto, stravolge il contenuto dello stesso art. 32 della Costituzione.
In base a questo ragionamento sarebbe infatti la collettività, identificata con una sola minoranza della stessa, a divenire portatrice di un diritto fondamentale alla protezione, da qualunque agente patogeno, a scapito del singolo, chiamato a offrire il proprio corpo in difesa degli altri.
A chi spetterebbe, in questa prospettiva, porre un limite alle vaccinazioni che potrebbero essere rese obbligatorie? Capite bene che se il bene primario è la protezione della collettività, non vi è ragione che questa protezione si arresti a taluni agenti patogeni e non altri. Perchè, quindi, solo dieci vaccini obbligatori e non venti? O trenta? Perchè la varicella sì e domani, disponibile il vaccino, la scarlattina, o la quarta, quinta, sesta malattia, no?
E allora a chi spetterà decidere quale è il limite a cui arrestarsi?
Facciamo molta attenzione perché gli Ordinamenti Giuridici si fondano su principi. Se il principio viene scardinato le conseguenze possono essere inimmaginabili.
Tornando alla dott.ssa Gilmore, siamo spiacenti di deluderla ma, in vita la nostra Costituzione, in Italia esiste eccome il diritto di rifiutare una vaccinazione, ed esiste ogni qual volta essa non riguardi malattie la cui gravità (oggettivamente valutata) e diffusività costituiscano un pericolo attuale e concreto, tale da giustificare il ricorso a una scelta tragica da parte dell’Ordinamento, scelta che deve per forza avere carattere eccezionale.
Di identico tenore l’art. 2 della Convenzione di Oviedo, in base al quale “L’interesse e il bene dell’essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza.”
Al di fuori di questo tracciato l’imposizione vaccinale prende un altro nome, ed è Totalitarismo Sanitario.
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