L’attuale crisi inter-coreana, la cui massima espressione sembra essere,
per ora, un duro confronto diplomatico con consequenziali dimostrazioni
di forza militare, ha riportato dopo un certo periodo di tempo
l’attenzione dei media internazionali sulla situazione della Penisola di
Corea; essi conferiscono però grande spazio unicamente alle cosiddette
“minacce” nordcoreane agli Stati Uniti, evitando però arbitrariamente
di informare su come e per quali motivazioni si sia giunti fino a queste
ultime, contribuendo così a dipingere la RPDC come l’unico e vero
responsabile della crisi e un serio ostacolo alla pace mondiale.
Se invece si andasse ad analizzare, da un punto di vista cronologico, gli ultimi avvenimenti nella Penisola, si potrebbe realizzare come la crisi abbia in realtà ben altri istigatori: essa è cominciata nel dicembre dell’anno scorso, mese nel quale la RPDC ha messo in orbita con successo il Kwangmyongsong 3-2, un satellite artificiale atto a scopi pacifici; poiché ciò è avvenuto con l’ausilio di un razzo vettore, gli Stati Uniti hanno accusato la RPDC di aver violato delle risoluzioni ONU che impedivano alla Corea Popolare di mettere in pratica test missilistici, facendo così varare all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Risoluzione 2087, un nuovo pacchetto di sanzioni economiche, inasprendo così l’embargo occidentale alla Corea Popolare, già in vigore da decenni e decenni.
Ciò ha rappresentato una grave violazione del diritto internazionale, in quanto si è negato ad una nazione sovrana, indipendente e riconosciuta internazionalmente di disporre del proprio territorio e delle proprie risorse per un programma di ricerca spaziale pacifico. Dettata dell’ostilità nordamericana nei confronti della RPDC, la motivazione strettamente politica di tale provvedimento e la parzialità degli stessi Stati Uniti nel trattare la questione sono state confermate dal fatto che, avendo anche la Corea del Sud messo in orbita il suo primo satellite artificiale dopo pochi giorni rispetto al Nord (e con le stesse modalità), nulla le è stato detto.
Il 12 febbraio ha quindi avuto luogo il terzo test nucleare della RPDC, facilmente interpretabile come risposta alle provocazioni degli Stati Uniti: il Partito del Lavoro di Corea ha affermato infatti di aver maturato la convinzione di dover continuare a sviluppare un proprio deterrente nucleare per far fronte all’atteggiamento ostile degli Stati Uniti e del governo di Seul. Questi ultimi però, ignorando il clima di tensione che già si stava venendo a creare, hanno voluto calcare la mano, sottoponendo al Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Risoluzione 2094, approvata il 7 marzo scorso. Si tratta di ennesime quanto illegittime sanzioni economiche, atte a minare alla sovranità nazionale e ai diritti internazionali della Corea Popolare. Inoltre, gli Stati Uniti e la Corea del Sud si sono prodigati, come ogni anno, in provocatorie esercitazioni militari congiunte sui confini con la RPDC, quali Foal Eagle e Key Resolve.
Gli Stati Uniti, avendo già poco meno di 30.000 militari di occupazione in Corea del Sud (per non parlare dell’arsenale nucleare che Washington, fin dalla seconda metà degli anni ’50, ha installato nella parte meridionale dell’Antica Penisola di Koryo e nel Giappone), hanno voluto inoltre esportare nella regione ulteriori armi di distruzione di massa, quali ad esempio delle portaerei capaci di trasportare centinaia e centinaia di testate nucleari, o anche gli stessi bombardieri B-2 e B-52, la cui particolarità sarebbe, oltre a quella di poter a loro volta impiegare arsenali nucleari, il poter sfuggire al segnale dei radar nordcoreani.
La Corea Popolare e gli Stati Uniti sono ancora formalmente in guerra (ricordiamo come nel 1953 sia stato firmato, a Panmunjom, un semplice armistizio), ed è quindi inutile dire come il Partito del Lavoro di Corea abbia correttamente interpretato queste misure come atti di aperta ostilità militare, funzionali alla programmazione di un secondo conflitto armato nella Penisola. Fra i provvedimenti presi da Pyongyang abbiamo quindi visto l’annullamento del succitato Armistizio di Panmunjom, la proclamazione dello stato di guerra con Seoul e la consequenziale chiusura della linea telefonica di emergenza col Sud, la cessazione dell’attività del distretto industriale di Kaesong e, a quanto dicono le testate giornalistiche della Casa Blu, l’installazione di due missili balistici sulla costa orientale del Paese, i quali dovrebbero però essere finalizzati non a un attacco preventivo contro le basi degli Stati Uniti nel Pacifico (come invece ha più volte paventato di voler fare la Corea Popolare), ma a semplici test. Si sono poi registrati dei moniti dell’Esercito Popolare di Corea agli Stati Uniti, con questi ultimi indicati dalla Commissione Nazionale di Difesa della RPDC come volontariamente aggressivi e desiderosi di invadere il suo Paese, minando quindi alla pace mondiale.
E’ importante notare come le ultime minacce di un attacco nucleare contro Washington siano state interpretate erroneamente: la RPDC ha sempre affermato categoricamente di non avere alcuna intenzione di scatenare un conflitto nucleare, e che impiegherà il proprio potenziale bellico solo in caso di sconfinamento o di attacco preventivo da parte delle truppe nemiche. Le mistificazioni dei media e il modo in cui la Corea Popolare viene accusata di essere una “minaccia” alla stabilità e alla pace della regione Est Asiatica e del mondo in generale sono certamente deprecabili, soprattutto perché così si diffama un popolo che, dopo aver subito gli orrori dell’imperialismo giapponese, nella guerra del ’50-‘53, scatenata dal maccartismo e dall’anticomunismo statunitense (nonostante in Occidente si tenda quasi sempre a considerare la RPDC la causa prima del conflitto, la questione è fuorviante, in quanto già del ’49 si registrarono pesanti scontri di frontiera, sempre scatenati dal Sud e dalle truppe di occupazione nordamericana; è inoltre opinione di Maurizio Riotto, maggiore studioso europeo di storia, lingua e cultura coreana, che le probabilità che sia stata Seoul ad invadere per prima il Nord siano alte), ha visto morire un milione e mezzo di persone innocenti per mano dei soldati statunitensi, i quali utilizzarono in quest’occasione armi non convenzionali e batteriologiche.
Il voler far apparire la Corea Popolare come un paese guerrafondaio e irrazionale è inoltre totalmente anacronistico, in quanto per sessant’anni il Partito del Lavoro di Corea si è impegnato per la firma di un vero trattato di pace con gli Stati Uniti e Seoul, la denuclearizzazione bilaterale della Penisola e una riunificazione pacifica (a questo proposito, si vedano i dieci punti del Presidente Kim Il Sung circa un’eventuale Repubblica Confederale Democratica di Koryo e l’impegno del Generale Kim Jong Il per un riavvicinamento delle due Coree, inquadrato anche nella Sunshine Policy del sudcoreano Kim Dae Jung).
La RPDC, analizzando l’atteggiamento ostile degli Stati Uniti e facendo perno sulla propria dottrina militare del Songun, ha visto nello sviluppo di un arsenale nucleare un valido deterrente ad una invasione straniera: è in questo contesto che vanno lette le dichiarazioni del leader Kim Jong Un secondo le quali il nucleare rappresenta “la vita della nazione”; esso è infatti una garanzia contro un attacco imperialista, come del resto testimonia il triste destino di paesi quali Iraq e Libia, dimostratisi troppo accondiscendenti nei confronti degli Stati Uniti, cadendo vittime di un intervento straniero.
Dopo il disconoscimento della Casa Bianca dell’accordo del febbraio dell’anno scorso (attraverso il quale la RPDC, in cambio di aiuti energetici e alimentari, si impegnava a concedere una moratoria al suo programma nucleare e missilistico), Pyongyang sta utilizzando l’attuale crisi per condurre un colloquio bilaterale direttamente con gli Stati Uniti, saltando il dialogo con Seoul e con gli altri attori principali della regione (Cina, Russia e Giappone, tutti e tre inseriti nei famosi Colloqui a Sei, ai quali la RPDC ha dichiarato che non prenderà più parte, dopo aver spinto per anni e senza successo alla loro ripresa).
L’obiettivo di una tale trattativa dovrebbero essere il riconoscimento statunitense dello status nucleare della Corea Popolare e, in prospettiva, la firma di un trattato di pace. La RPDC è un paese piccolo, ma con un grande potenziale militare: essa ha, oltre ad un proprio arsenale nucleare, un esercito di un milione e mezzo di soldati effettivi e oltre tre milioni di riservisti.
Nel caso di un attacco, la Corea Popolare farà di tutto per contrastare il nemico, utilizzando ogni mezzo a suo disposizione; in un contesto del genere, la Cina e la Russia dovrebbero giocare un importante e delicato ruolo diplomatico, esponendosi molto di più di quanto invece non stiano facendo adesso (è da notare come i due paesi in questione, nonostante siano formalmente alleati di Pyongyang, abbiano approvato entrambi i piani di sanzioni economiche promossi dagli Stati Uniti contro la RPDC): certamente non sarebbe loro favorevole una maggiore presenza nordamericana nell’Est Asiatico.
La strategia bellicosa e aggressiva degli Stati Uniti e della Corea del Sud ha inoltre deliberatamente ignorato gli inviti alla distensione del nuovo e giovane leader Kim Jong Un, inseriti da quest’ultimo nel suo discorso per l’inizio del 2013, dove egli parla di pace, riunificazione e crescita economica. Una crescita economica alla quale, successivamente al superamento della grave crisi degli anni ’90 da parte del Generale Kim Jong Il, ci si sarebbe potuti dedicare completamente: almeno questo era ciò che il Partito del Lavoro di Corea pensava qualche mese fa. Alla luce delle recenti provocazioni, si è deciso che lo sviluppo economico della Corea Popolare sarà curato parallelamente alla crescita del suo deterrente nucleare, atto a difendere il socialismo coreano.
http://www.italiacoreapopolare.it
Se invece si andasse ad analizzare, da un punto di vista cronologico, gli ultimi avvenimenti nella Penisola, si potrebbe realizzare come la crisi abbia in realtà ben altri istigatori: essa è cominciata nel dicembre dell’anno scorso, mese nel quale la RPDC ha messo in orbita con successo il Kwangmyongsong 3-2, un satellite artificiale atto a scopi pacifici; poiché ciò è avvenuto con l’ausilio di un razzo vettore, gli Stati Uniti hanno accusato la RPDC di aver violato delle risoluzioni ONU che impedivano alla Corea Popolare di mettere in pratica test missilistici, facendo così varare all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Risoluzione 2087, un nuovo pacchetto di sanzioni economiche, inasprendo così l’embargo occidentale alla Corea Popolare, già in vigore da decenni e decenni.
Ciò ha rappresentato una grave violazione del diritto internazionale, in quanto si è negato ad una nazione sovrana, indipendente e riconosciuta internazionalmente di disporre del proprio territorio e delle proprie risorse per un programma di ricerca spaziale pacifico. Dettata dell’ostilità nordamericana nei confronti della RPDC, la motivazione strettamente politica di tale provvedimento e la parzialità degli stessi Stati Uniti nel trattare la questione sono state confermate dal fatto che, avendo anche la Corea del Sud messo in orbita il suo primo satellite artificiale dopo pochi giorni rispetto al Nord (e con le stesse modalità), nulla le è stato detto.
Il 12 febbraio ha quindi avuto luogo il terzo test nucleare della RPDC, facilmente interpretabile come risposta alle provocazioni degli Stati Uniti: il Partito del Lavoro di Corea ha affermato infatti di aver maturato la convinzione di dover continuare a sviluppare un proprio deterrente nucleare per far fronte all’atteggiamento ostile degli Stati Uniti e del governo di Seul. Questi ultimi però, ignorando il clima di tensione che già si stava venendo a creare, hanno voluto calcare la mano, sottoponendo al Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Risoluzione 2094, approvata il 7 marzo scorso. Si tratta di ennesime quanto illegittime sanzioni economiche, atte a minare alla sovranità nazionale e ai diritti internazionali della Corea Popolare. Inoltre, gli Stati Uniti e la Corea del Sud si sono prodigati, come ogni anno, in provocatorie esercitazioni militari congiunte sui confini con la RPDC, quali Foal Eagle e Key Resolve.
Gli Stati Uniti, avendo già poco meno di 30.000 militari di occupazione in Corea del Sud (per non parlare dell’arsenale nucleare che Washington, fin dalla seconda metà degli anni ’50, ha installato nella parte meridionale dell’Antica Penisola di Koryo e nel Giappone), hanno voluto inoltre esportare nella regione ulteriori armi di distruzione di massa, quali ad esempio delle portaerei capaci di trasportare centinaia e centinaia di testate nucleari, o anche gli stessi bombardieri B-2 e B-52, la cui particolarità sarebbe, oltre a quella di poter a loro volta impiegare arsenali nucleari, il poter sfuggire al segnale dei radar nordcoreani.
La Corea Popolare e gli Stati Uniti sono ancora formalmente in guerra (ricordiamo come nel 1953 sia stato firmato, a Panmunjom, un semplice armistizio), ed è quindi inutile dire come il Partito del Lavoro di Corea abbia correttamente interpretato queste misure come atti di aperta ostilità militare, funzionali alla programmazione di un secondo conflitto armato nella Penisola. Fra i provvedimenti presi da Pyongyang abbiamo quindi visto l’annullamento del succitato Armistizio di Panmunjom, la proclamazione dello stato di guerra con Seoul e la consequenziale chiusura della linea telefonica di emergenza col Sud, la cessazione dell’attività del distretto industriale di Kaesong e, a quanto dicono le testate giornalistiche della Casa Blu, l’installazione di due missili balistici sulla costa orientale del Paese, i quali dovrebbero però essere finalizzati non a un attacco preventivo contro le basi degli Stati Uniti nel Pacifico (come invece ha più volte paventato di voler fare la Corea Popolare), ma a semplici test. Si sono poi registrati dei moniti dell’Esercito Popolare di Corea agli Stati Uniti, con questi ultimi indicati dalla Commissione Nazionale di Difesa della RPDC come volontariamente aggressivi e desiderosi di invadere il suo Paese, minando quindi alla pace mondiale.
E’ importante notare come le ultime minacce di un attacco nucleare contro Washington siano state interpretate erroneamente: la RPDC ha sempre affermato categoricamente di non avere alcuna intenzione di scatenare un conflitto nucleare, e che impiegherà il proprio potenziale bellico solo in caso di sconfinamento o di attacco preventivo da parte delle truppe nemiche. Le mistificazioni dei media e il modo in cui la Corea Popolare viene accusata di essere una “minaccia” alla stabilità e alla pace della regione Est Asiatica e del mondo in generale sono certamente deprecabili, soprattutto perché così si diffama un popolo che, dopo aver subito gli orrori dell’imperialismo giapponese, nella guerra del ’50-‘53, scatenata dal maccartismo e dall’anticomunismo statunitense (nonostante in Occidente si tenda quasi sempre a considerare la RPDC la causa prima del conflitto, la questione è fuorviante, in quanto già del ’49 si registrarono pesanti scontri di frontiera, sempre scatenati dal Sud e dalle truppe di occupazione nordamericana; è inoltre opinione di Maurizio Riotto, maggiore studioso europeo di storia, lingua e cultura coreana, che le probabilità che sia stata Seoul ad invadere per prima il Nord siano alte), ha visto morire un milione e mezzo di persone innocenti per mano dei soldati statunitensi, i quali utilizzarono in quest’occasione armi non convenzionali e batteriologiche.
Il voler far apparire la Corea Popolare come un paese guerrafondaio e irrazionale è inoltre totalmente anacronistico, in quanto per sessant’anni il Partito del Lavoro di Corea si è impegnato per la firma di un vero trattato di pace con gli Stati Uniti e Seoul, la denuclearizzazione bilaterale della Penisola e una riunificazione pacifica (a questo proposito, si vedano i dieci punti del Presidente Kim Il Sung circa un’eventuale Repubblica Confederale Democratica di Koryo e l’impegno del Generale Kim Jong Il per un riavvicinamento delle due Coree, inquadrato anche nella Sunshine Policy del sudcoreano Kim Dae Jung).
La RPDC, analizzando l’atteggiamento ostile degli Stati Uniti e facendo perno sulla propria dottrina militare del Songun, ha visto nello sviluppo di un arsenale nucleare un valido deterrente ad una invasione straniera: è in questo contesto che vanno lette le dichiarazioni del leader Kim Jong Un secondo le quali il nucleare rappresenta “la vita della nazione”; esso è infatti una garanzia contro un attacco imperialista, come del resto testimonia il triste destino di paesi quali Iraq e Libia, dimostratisi troppo accondiscendenti nei confronti degli Stati Uniti, cadendo vittime di un intervento straniero.
Dopo il disconoscimento della Casa Bianca dell’accordo del febbraio dell’anno scorso (attraverso il quale la RPDC, in cambio di aiuti energetici e alimentari, si impegnava a concedere una moratoria al suo programma nucleare e missilistico), Pyongyang sta utilizzando l’attuale crisi per condurre un colloquio bilaterale direttamente con gli Stati Uniti, saltando il dialogo con Seoul e con gli altri attori principali della regione (Cina, Russia e Giappone, tutti e tre inseriti nei famosi Colloqui a Sei, ai quali la RPDC ha dichiarato che non prenderà più parte, dopo aver spinto per anni e senza successo alla loro ripresa).
L’obiettivo di una tale trattativa dovrebbero essere il riconoscimento statunitense dello status nucleare della Corea Popolare e, in prospettiva, la firma di un trattato di pace. La RPDC è un paese piccolo, ma con un grande potenziale militare: essa ha, oltre ad un proprio arsenale nucleare, un esercito di un milione e mezzo di soldati effettivi e oltre tre milioni di riservisti.
Nel caso di un attacco, la Corea Popolare farà di tutto per contrastare il nemico, utilizzando ogni mezzo a suo disposizione; in un contesto del genere, la Cina e la Russia dovrebbero giocare un importante e delicato ruolo diplomatico, esponendosi molto di più di quanto invece non stiano facendo adesso (è da notare come i due paesi in questione, nonostante siano formalmente alleati di Pyongyang, abbiano approvato entrambi i piani di sanzioni economiche promossi dagli Stati Uniti contro la RPDC): certamente non sarebbe loro favorevole una maggiore presenza nordamericana nell’Est Asiatico.
La strategia bellicosa e aggressiva degli Stati Uniti e della Corea del Sud ha inoltre deliberatamente ignorato gli inviti alla distensione del nuovo e giovane leader Kim Jong Un, inseriti da quest’ultimo nel suo discorso per l’inizio del 2013, dove egli parla di pace, riunificazione e crescita economica. Una crescita economica alla quale, successivamente al superamento della grave crisi degli anni ’90 da parte del Generale Kim Jong Il, ci si sarebbe potuti dedicare completamente: almeno questo era ciò che il Partito del Lavoro di Corea pensava qualche mese fa. Alla luce delle recenti provocazioni, si è deciso che lo sviluppo economico della Corea Popolare sarà curato parallelamente alla crescita del suo deterrente nucleare, atto a difendere il socialismo coreano.
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