involuzione

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Poche cose abbiamo imparato dalla storia all'infuori di questa: che le idee si condensano in un sistema di ortodossia, i poteri in una forma gerarchica e che ciò che può ridare vita al corpo sociale irrigidito è soltanto l'alito della libertà, con la quale intendo quella irrequietezza dello spirito, quell'insofferenza dell'ordine stabilito, quell'aborrimento di ogni conformismo che richiede spregiudicatezza mentale ed energia di carattere.
Io sono convinto che se non avessimo imparato dal marxismo a vedere la storia dal punto di vista degli oppressi, guadagnando una nuova immensa prospettiva sul mondo umano, non ci saremmo salvati. O avremmo cercato riparo nell'isola della nostra interiorità o ci saremmo messi al servizio dei vecchi padroni. Ma tra coloro che si sono salvati, solo alcuni hanno tratto in salvo un piccolo bagaglio dove, prima di buttarsi in mare, avevano deposto, per custodirli, i frutti più sani della tradizione intellettuale europea: l'inquietudine della ricerca, il pungolo del dubbio, la volontà del dialogo, lo spirito critico, la misura nel giudicare, lo scrupolo filologico, il senso della complessità delle cose.
Norberto Bobbio

giovedì 22 novembre 2012

Malcolm X,la politica imperialista



Essere nero negli Stati Uniti d’America è abbastanza per essere considerato “non-USAmericano”, ma essere nero e musulmano equivale a “anti-USAmericano.
 
“Obama si era recato al Cairo come “inviato di un impero” che cercava di rendere universale la potenza usamericana, mentre Malcolm X era andato lì per “internazionalizzare le lotte per la libertà dei neri Afro-americani con le lotte dei neri del terzo mondo, tutti vittime dell’imperialismo”
Con Guantanamo ancora aperta, droni che continuano ad uccidere, e un sentimento anti-musulmano come brontolio di sottofondo dell’Impero, le elezioni presidenziali negli Stati Uniti hanno ancora una volta sollevato lo spettro dell’Islam e del terzo mondo musulmano come minaccia alla sicurezza nazionale degli USA e ai loro interessi. E con Obama, uno dei due candidati in corsa, la questione della “negritudine” entra in campo come l’elefante nella cristalleria.
Mentre molti pretendono ancora una volta di stigmatizzare Obama come “Musulmano segreto” e come il “Candidato arabo” del 21° secolo, altri imputano alla sua negritudine il tentativo di riplasmare l’immagine dell’America e di contribuire a promuovere gli interessi degli Stati Uniti nel terzo mondo musulmano attraverso una nuova e benevolente maschera di facciata “post –razziale”.
 
Ma, come di recente ho esposto dettagliatamente in un mio libro, queste relazioni e vicende tra negritudine, Islam e terzo mondo musulmano non sono una novità negli Stati Uniti.
In realtà, è Malcolm X che è arrivato a definire convergenti queste storie, ed è la sua eredità che per molti versi sta causando tanta inquietudine nazionale negli Stati Uniti post-11/settembre, con un presidente nero il cui secondo nome è Hussein. Essere nero negli Stati Uniti d’America è abbastanza per essere considerato “non-USAmericano”, ma essere nero e musulmano equivale a “anti-USAmericano”.
Mentre “la campagna diffamatoria” contro Obama come musulmano, nel clima post-11/settembre, veniva ispirata dalla minaccia rappresentata da quella entità chiamata “al-Qaeda”, la negritudine di Obama e una sua possibile “vicinanza” all’Islam generano davvero una più profonda preoccupazione, che si va a collocare sulla scia di quell’inquietudine generata da Malcolm X, che lanciava la sfida alle autorità statunitensi non solo per le vicende di un passato avverso ai neri, ma anche per un futuro “nero”, appellandosi alla gente di colore perché considerasse se stessa non come una minoranza nazionale, ma come una maggioranza globale.
 
Per Malcolm X, “l’Islam rappresenta la più grande forza unificante del Mondo Nero”, con la Mecca come centro spirituale; e il terzo mondo musulmano, con le sue lotte contro il colonialismo in Egitto, Algeria, Palestina, Iraq e altrove, aveva avuto un impatto determinante sulla sua vita e sulla sua visione politica.
Ma per Malcolm X, uno non aveva bisogno di essere un musulmano. Ciò che era importante era il riconoscimento di una propria realtà razziale a fronte di una sofferenza secolare provocata dalla supremazia bianca intesa come fenomeno globale, e di conseguenza era importante collegare le lotte nere con quelle del terzo mondo. Tuttavia, vi è stata una persistente richiesta di contenere e addirittura azzerare la possibilità di un internazionalismo nero negli Stati Uniti.
 
In adempimento alla tradizione per i diritti civili, la presidenza Obama ha simbolicamente asserito che non solo le persone di colore devono puntare su questo paese, ma che questo sentimento è reciproco – quindi Obama nel suo ruolo di “leader del mondo libero” cerca di coniugare l’identità nera con gli Stati Uniti, la sua potenza e il suo destino.
Nel 2009, al Cairo, Obama ha cercato di catturare entusiasmi per la sua elezione durante il suo intervento molto pubblicizzato, dal titolo “A New Beginning – Un nuovo inizio”, che avrebbe dovuto segnalare un deciso discostarsi dal militarismo polarizzante del regime di Bush II.
Ma anche Malcolm X aveva parlato al Cairo, e nel 1964 si era rivolto ad una assemblea di capi di Stato presso l’Organizzazione per l’Unità Africana.
 
Obama si era recato al Cairo come “inviato di un impero” che cercava di rendere universale la potenza usamericana, mentre Malcolm X era andato lì per “internazionalizzare le lotte per la libertà dei neri Afro-americani con le lotte dei neri del terzo mondo, tutti vittime dell’imperialismo”.
Al Cairo, Malcolm implorava i capi di Stato di non farsi ingannare dal “lupo imperialista” degli Stati Uniti o dai tentativi del Dipartimento di Stato di usare la propaganda per convincere le nazioni africane che gli Stati Uniti stavano facendo progressi seri verso l’uguaglianza razziale, attraverso la sentenza “Brown v. Board” e l’adozione di una legislazione di tutela dei diritti civili.
 
Come Malcolm ribadiva, queste misure erano una “manovra propagandistica”, e “non sono altro che trucchi della potenza alla guida del neo-colonialismo del secolo”. Malcolm implorava l’assemblea ad ascoltare il suo avvertimento: “Non fuggite dal colonialismo europeo, solo per ridurvi ancora più schiavizzati da un “dollarismo” statunitense ingannevolmente 'amichevole'.”
Nel sottolineare l’uso della propaganda e il sapere ben amministrare all’estero la propria immagine da parte degli Stati Uniti, Malcolm anticipava non solo come, dopo l’11/settembre, il Dipartimento di Stato avrebbe posto i Musulmani in posizioni di alto profilo nel campo delle arti e della politica per influenzare l’opinione pubblica musulmana all’estero, ma anche come l’elezione di Obama e la retorica della “diversità” sarebbero state sfruttate per ridefinire gli Stati Uniti come inclusivi, “post-razziali” e progressisti, al fine di mascherare l’entrata in trincea del potere bianco, in ambito domestico e globalmente.
 
E nel collegare la politica razziale interna usamericana al ruolo degli Stati Uniti come “potenza neo-coloniale” e all’emergere di un “dollarismo usamericano”, Malcolm metteva a nudo come la questione razziale fosse vincolata al colonialismo europeo e all’apparire degli Stati Uniti come superpotenza globale. Mentre Obama si era recato in Egitto, al Cairo, per cooptare questa città sacra e fornire un’immagine caritatevole del potere americano, Malcolm era stato lì per strappare la maschera di benevolenza e rivelare la verità nuda dell’ingiustizia razziale degli Stati Uniti e delle loro ambizioni imperiali. È per questo che l’eredità di Malcolm X è così importante, in quanto mette in luce le dinamiche razziali che modellano il panorama globale di oggi, sotto il potere degli Stati Uniti.
Terrore rosso, nero e verde
Nel periodo immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti hanno sostituito l’Europa come attore dominante sulla scena del mondo, il presidente Truman dichiarava il comunismo “nemico pubblico numero uno”, perfino vedendo nel comunismo una minaccia più grande del colonialismo nei confronti del terzo mondo in fase di decolonizzazione.
Per altro, gli Stati Uniti e i loro alleati in Europa consideravano che un terzo mondo liberato costituisse la più grande minaccia per l’ordine post-bellico che gli Stati Uniti volevano dominare, in quanto si sarebbe creato un vuoto di potere che avrebbe potuto essere riempito dal comunismo.
La paura reale, come avevano ben afferrato Malcolm e altri, come Lumumba, Fanon e Nkrumah, era che la liberazione e l’indipendenza della maggior parte del mondo avrebbero avuto il potenziale di radicalmente ridistribuire il potere e la ricchezza globale, lontano dal mondo dei bianchi.
 
Per contrasto, gli Stati Uniti espandevano la propria impronta imperiale sul terzo mondo e diffondevano la logica del razzismo coloniale, utilizzando l’“anti-comunismo” come mezzo per giustificare i loro interventi, il sostegno dei dittatori, il rovesciamento dei leader democraticamente eletti, gli omicidi e la destabilizzazione in tutto il terzo mondo (di testimonianza: Mossadeq, Arbenz, Lumumba e tanti altri).
Di conseguenza, la politica estera degli Stati Uniti utilizzava l’“anti-comunismo” come agente per procura nella corsa per insidiare la decolonizzazione del terzo mondo.
Malcolm balzava fuori da questo crogiolo della Guerra Fredda, in cui gli attivisti dei diritti civili abbracciavano un’identità americana e sostenevano che la “violenza di Jim Crow” era un tallone di Achille, che arrecava pregiudizio alle ambizioni globali degli Stati Uniti verso un terzo mondo già ostile alla supremazia bianca.
 
Malcolm era profondamente critico nei confronti di tutte le organizzazioni a favore dei diritti civili, che cercavano di addomesticare la lotta dei neri all’interno della struttura sociale degli Stati Uniti  e sostenevano la logica dell’“anti-comunismo”. Per Malcolm e gli altri, la struttura organizzativa in favore dei diritti civili in ambito nazionale, non comprendendo la natura globale della supremazia bianca, non mirava ad ottenere conquiste contro le discriminazioni razziali.
Invece di collegare i loro destini a quelli del terzo mondo in fase di decolonizzazione, annullando il sistema del potere bianco, i mandatari per i diritti civili mascheravano il potere bianco attraverso un atteggiamento riformista nazionale, facilitando al tempo stesso il radicamento aggressivo del potere bianco in tutto il mondo, assumendo la logica incrinata dell’“anti-comunismo”.
Nel 1964, Malcolm X nel suo tanto vituperato discorso “The Ballot or the Bullet - La scheda (di votazione) o la pallottola” contestava le istituzioni in favore dei diritti civili, affermando l’inutilità del voto nero come mezzo per conquistare la parità negli Stati Uniti.
 
Invece, sosteneva che il popolo nero aveva bisogno di internazionalizzare le sue lotte, collegandole alle lotte che si stavano svolgendo in tutto il terzo mondo dell’Africa, Asia e America Latina.
Così Malcolm affermava: “Non portate i vostri casi davanti alle corti criminali, portate i criminali davanti alle vostre corti!”.
Per Malcolm X, il passaggio da “diritti civili” a “diritti umani” avrebbe presentato la condizione dei popoli neri negli Stati Uniti ad un forum più ampio, che avrebbe costretto gli Stati Uniti a sottoporsi ad un esame critico e alla sfida del terzo mondo, e che avrebbe potuto far pendere la bilancia del potere in favore delle nazioni nere, in quanto avrebbe rivelato le ipocrisie degli Stati Uniti, compromesso gli obiettivi di politica estera di questo paese nei confronti del terzo mondo, e rivelato il diffondersi all’interno degli Stati Uniti del razzismo coloniale di stampo europeo.
 
Come parte del suo internazionalismo radicale, e in profondo contrasto con le istituzioni dei diritti civili, Malcolm sosteneva le lotte dei Palestinesi contro il sionismo, paragonava i ghetti di Harlem sottoposti a segregazione razzista alla Casbah di Algeri sotto il dominio coloniale francese, esaltava le prese di posizione di Nasser contro Inghilterra, Francia e Israele, celebrava la Conferenza di Bandung e la considerava come un modello per l’unificazione della politica culturale nera durante la Guerra Fredda, appoggiava la ribellione dei Mau Mau contro il colonialismo britannico e quella dei Vietnamiti contro la dominazione francese, incontrava Fidel Castro, lodava Lumumba come “il più grande Nero che abbia mai calpestato il continente africano”, e come Fanon, dava una giustificazione etica alla possibilità di lotta armata, fondamentalmente sfidando l’opinione generale all’epoca della Guerra Fredda. 
Il post 11/settembre, ora
Nell’epoca di iper-nazionalismo seguita all’11/settembre, che ha alimentato la guerra degli Stati Uniti contro il terzo mondo musulmano, l’eredità di resistenza lasciataci da Malcolm, con l’associazione dell’internazionalismo nero alle politiche del terzo mondo musulmano, ci fornisce un programma per sfidare il consenso all’ideologia imperiale che ha caratterizzato l’era post-11/settembre.
Proprio come l’“anti-comunismo” costituiva un pretesto per azioni razziali durante la Guerra Fredda, così l’“anti-terrorismo” è diventato il nuovo pretesto per azioni razziali e per il nuovo radicamento della supremazia bianca, a giustificazione dell’intervento degli Stati Uniti all’estero, mentre anche il dissenso interno viene represso, e la categoria…logica di “terrorismo” viene utilizzata per determinare chi è un cittadino e chi è un nemico, chi è umano e chi non lo è, e chi deve essere ucciso e chi ha il permesso di vivere.
 
Forgiatasi nell’era della Guerra Fredda, l’eredità di Malcolm può sfidare e contrastare l’accettazione da parte di organizzazioni sociali minoritarie (comprese le musulmane) della retorica del “terrorismo”, riconoscendone le sue radici da codificarsi razziali, e facendo assumere consapevolezza come l’“anti-terrorismo” venga utilizzato dagli organi di polizia contro il dissenso interno, ma anche per consentire la violenta espansione dell’impero degli Stati Uniti.
Non bisogna stare al gioco della logica dell’“anti-terrorismo” che tende a distinguere fra Musulmani “moderati” e “radicali”, altrimenti non si riesce a dare dignità alle sfide alla potenza degli Stati Uniti in tutto il mondo.
Mentre molti attivisti, artisti, studiosi e organizzazioni stanno infondendo le idee di Malcolm nel loro lavoro, è importante che le comunità nere e musulmane, così come le altre comunità di colore, continuino a sottolineare le profonde connessioni internazionaliste che Malcolm ha prodotto.
Il collegamento di queste lotte non corrisponde ad una visione romantica della solidarietà.
 
È il radicamento di una comprensione più profonda di quanto nella realtà siano strettamente connesse queste forze impetuose. Ed è la presa di coscienza che la persistenza del razzismo qui negli Stati Uniti è dovuta al fatto che la supremazia bianca è profondamente intrecciata con le stesse strutture di governo degli Stati Uniti, e perpetuamente prende respiro dal quotidiano procedere degli Stati Uniti  nella conduzione dei loro affari, interni o esteri.
È il riconoscimento che la logica della carcerazione di massa negli Stati Uniti, che ha distrutto la possibilità politica dei neri e ha represso il dissenso e i movimenti di rivolta attraverso gli organi locali di polizia e di contro-insurrezione, è anche ciò che guida l’esercito americano e le sue carcerazioni imperialiste ad Abu Ghraib, Guantanamo, Bagram e in altri posti. È il riconoscimento che la condizione dei migranti attraverso il confine pesantemente militarizzato fra Stati Uniti e Messico è del tutto paragonabile alla condizione che vede represse e distrutte le vite dei Palestinesi.
 
Ed è il riconoscimento che le politiche economiche neoliberiste, che hanno distrutto il salario sociale e hanno assistito all’emergere di uno stato di guerra permanente negli Stati Uniti, sono profondamente radicate nello sfruttamento del terzo mondo attraverso il capitale finanziario globale e la guerra.
Manifestare l’anti-razzismo solo in sede nazionale, e non considerare la supremazia bianca come un problema globale, o muovere solo tiepide critiche alla politica estera degli Stati Uniti, alle loro tattiche e strategie, e non criticare le loro condizioni sociali fondamentalmente razziste, suona a vuoto falsamente e fa perdere di vista l’obiettivo. Perché non fa riconoscere che la supremazia bianca è radicata nella struttura stessa delle relazioni globali che gli Stati Uniti hanno contribuito a porre in essere - un insieme di relazioni in cui diplomazia, traffici, manovre politiche, guerra e questioni di sovranità entrano in gioco in un campo decisamente dissestato, in cui Stati Uniti ed Europa esercitano un’influenza diplomatica opprimente, un potere politico e militare brutale.
 
Ignorare tutto ciò comporta l’adesione alle peggiori forme di internazionalismo liberista, che presuppongono gli Stati Uniti essere una “forza del bene” nel mondo, e si reitera la medesima questione che Malcolm X eroicamente ha combattuto, e per cui alla fine è stato ucciso.
Anche se le pallottole alla fine lo hanno abbattuto, Malcolm ha lasciato un’impronta indelebile sulle generazioni di artisti e attivisti. Ma la sua eredità è sotto attacco, e si tenta di cancellarla del tutto quando la presidenza Obama, con la sua narrazione trionfalistica sui diritti civili, mira a rendere le spinte propulsive internazionaliste dei popoli di colore irrilevanti e obsolete.
 
Mentre ci sono coloro che sostengono che il voto per Obama è l’unica cosa pragmatica da fare, e che votare per una terza parte politica (non democratica, né repubblicana) o non votare è un’opzione del tutto “impraticabile” e “sbagliata”, Malcolm potrebbe rovesciare la questione e chiedere quanto “positivo” sia votare per uno dei due principali partiti, quando le forze violente che li determinano sono così intrattabili e resistenti ad ogni cambiamento, tanto meno ad una profonda trasformazione?
E quando ci si confronta con tali forze, tenendo ben presenti alla mente tutti coloro che in passato hanno tentato tanto valorosamente di contrastare queste forze, è praticabile continuare ad investire e ad impegnarsi in questo processo e aspettarsi qualcosa di diverso? A ben vedere, tutto ciò non risulta “impraticabile” e il percorso non pertinente?
 
Note del traduttore su personaggi ed eventi citati nel documento:
 
Malcolm X, pseudonimo di Malcolm Little, (Omaha, 1925 – New York, 1965), è stato un attivista statunitense a favore dei diritti degli Afro-americani e dei “diritti umani” in genere.
Figlio di un predicatore negro, dopo avere aderito al movimento dei “Musulmani neri” ne uscì nel 1964 in seguito ai contrasti sorti sulla linea separatista del movimento e formò l’Organizzazione per l’unità afro-americana, ispirata ad una linea di nazionalismo negro e di solidarietà con tutti i popoli oppressi non di razza bianca.
Malcolm X teorizzava il ricorso all’autodifesa armata in nome dei “diritti umani”, che si collocano al di sopra dei “diritti civili”.
Fu assassinato durante un comizio a New York il primo giorno della Settimana Nazionale della Fratellanza per mano di membri dell’organizzazione di cui era stato portavoce, la Nation of Islam.
È considerato uno dei più grandi, ma anche controversi, capifila afro-americani del XX secolo. Alla fine di una lunga evoluzione del suo pensiero, sostenne che la religione islamica fosse capace di abbattere ogni barriera razziale e ogni forma di discriminazione.


Sohail Daulatzai

Tradotto da  Curzio Bettio

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