di Francesco Bevilacqua
Giovedì 24 febbraio, presso la traboccante aula magna del dipartimento di Chimica dell’Università di Bologna, si è svolto un incontro con l’economista e filosofo – come dice lui stesso, ora che è in pensione può occuparsi di entrambe le cose – Serge Latouche, professore emerito dell’Università di Parigi, esponente di spicco del Movimento Anti-Utilitarista (MAUSS) e propugnatore della decrescita.
Il tema della giornata – organizzata da Andrea Segrè, ideatore dei Last Minute Market – era Come uscire dalla società dei consumi: il tao della decrescita, mutuato proprio dal titolo dell’ultimo libro del pensatore francese uscito in questi giorni per Bollati Boringhieri, Come si esce dalla società dei consumi.
Il concetto di base con cui Latouche apre il suo intervento è quello che richiama la necessità di uscire dall’economia capitalista, che rappresenta il modello attraverso il quale si realizza la società della crescita. Per fare questo, il primo passo consiste nel rompere il paradigma tipicamente occidentale del 'sempre di più', basato sulla dicotomia produzione-consumo che ha portato a ciò che oggi viene chiamato globalizzazione.
In realtà i mercati sono mondializzati già dal 1492, quando “l’America scoprì Colombo” – come dice Latouche per sfuggire alla visione eurocentrica. Nel 1989 poi, con la caduta del sistema geopolitico degli impenetrabili blocchi contrapposti, è cominciata la omnicommercializzazione del mondo.
Si è instaurata così l’economia della crescita, il cui fine non è quello di crescere per soddisfare i bisogni bensì quello di crescere per crescere, attraverso un processo che parte dalla produzione, prosegue con il consumo a cui segue la produzione dei rifiuti, il tutto con un profitto sempre maggiore che arricchisce un numero di persone sempre minore.
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L’insegnamento importante di questi due episodi è la forza della spinta dal basso che mira a risolvere il problema, a ottenere dei diritti e non a conquistare meramente il potere. Come dice lo stesso Marcos infatti, “non vogliamo prendere il potere, perché sennò saremmo presi noi stessi dal potere”.
Da questo contesto territoriale è nato quindi qualcosa di nuovo, come testimoniano le costituzioni di Ecuador e Bolivia recentemente approvate, in cui per la prima volta viene dichiarato esplicitamente che il fine della società è il benessere e non la prosperità economica. Benessere che in spagnolo viene reso dal termine buen vivir, che è diventato oramai una parola chiave per il movimento della decrescita. Nel testo costituzionale questo concetto è espresso anche in lingua Quechua, sumak kawsay, ed è accompagnato dalla affermazione che la natura è un soggetto di diritto e in quanto tale va rispettata; un passo importante nella direzione dell’abbandono della società dei consumi.
Laotuche prosegue la sua esposizione con una citazione molto particolare, quella del regista e attore americano Woody Allen, che sostiene che l’umanità si trova oramai di fronte a un bivio che conduce da una parte alla scomparsa, dall’altra alla disperazione. La prima scelta, quella che conduce alla scomparsa, è caratterizzata dalla società della crescita con la crescita. È però questa una scomparsa che non ha nulla a che vedere con analoghi eventi che si sono verificati nel corso della storia del pianeta, poiché da essi si differenzia per tre aspetti: è molto più veloce, è provocata dall’uomo e coinvolge anche l’uomo stesso.
L’aumento della temperatura potrebbe arrivare anche a sei gradi
Nel caso in cui non facessimo neanche questo tuttavia, l’aumento della temperatura potrebbe arrivare anche a sei gradi e in quel caso le condizioni di sopravvivenza della vita stessa sul pianeta sarebbero messe a repentaglio.
È a questo punto che Latouche ripropone uno dei suoi concetti chiave, che è fra le altre cose anche il titolo di uno dei suoi scritti, uscito nel 2002 per la EMI: decolonizzare l’immaginario. Questo processo rappresenta la sola via d’uscita dal vicolo cieco della crescita e può essere compiuto su due livelli, quello delle parole e quello delle cose. Per quest’ultimo si tratta di mettere in pratica un nuovo stile di vita: la sfida è forse più impegnativa ma almeno i suoi connotati sono chiari.
Decolonizzare l’immaginario a livello delle parole è invece una prova che si potrebbe definire subdola, poiché vuol dire riappropriarsi dei termini e dei concetti che tali termini esprimono, che oggi sono stati completamente traviati. Sviluppo, crescita e progresso sono infatti parole che derivano dalla biologia e inseriti in quel contesto disciplinare hanno un senso.
Gli economisti però hanno importato questi concetti applicandoli all’economia in maniera impropria e parziale, dimenticandosi che in un ciclo vitale a crescita e sviluppo segue inevitabilmente la morte dell’organismo. Tutti noi siamo quindi stati 'economicizzati' fin dalla giovane età, grazie alla scuola che inculcato nelle nostre menti i modelli della crescita occidentale e della rivoluzione industriale.
Dietro il mito della "ricchezza delle nazioni" c'è stato l'arricchimento della borghesia e delle élite industriali
Poi il capitalismo si è trasformato in un sistema termoindustriale grazie alla seconda rivoluzione industriale e all’avvento delle macchine. Come spiega fra gli altri anche Marx, questo ha permesso di accumulare una quantità enorme di merci che andavano però consumate, ragion per cui si è verificato un apparente miglioramento delle condizioni di vita delle classi più deboli, rese in grado di acquistare le merci che venivano prodotte.
Nel dopoguerra, si è infine arrivati al perfezionamento del sistema capitalista grazie all’aggiunta di tre nuovi ingredienti: il marketing, che consente di creare desiderio di possesso, dipendenza e frustrazione, il credito, strumento studiato per permettere di acquistare anche a chi non ne ha la possibilità, e l’obsolescenza programmata, che imponendo un’aspettativa di vita sempre più breve alle merci prodotte favorisce il ricambio e quindi l’acquisto di nuove merci.
L’ultima rivoluzione è quella degli idrocarburi, in occasione della quale ha fatto irruzione sulla scena il petrolio, risorsa efficientissima e apparentemente inesauribile. In realtà, così come possiamo ammirare l’immagine di una stella lontana migliaia di anni luce che in realtà è scomparsa da tempo, il nostro sistema economico si basa su una fonte energetica che è già in via di esaurimento, ma siccome la vediamo ancora ampiamente impiegata nella nostra quotidianità non immaginiamo che sia prossima alla fine.
Latouche ribadisce l’importanza di uscire dal paradigma della società dei consumi che si sorregge sull’economia
La nuova società si deve quindi basare su quella che il decrescitista francese chiama “abbondanza frugale”, l’esatto opposto della scarsità indotta dalla società dei consumi che, per sua natura, ha bisogno che la gente provi sempre una sensazione di privazione, da cui deriva il desiderio di acquisto. Ragionando nei termini del paradigma consumista, abbondanza frugale sembra un ossimoro senza senso, ma l’unica via per conoscere la vera abbondanza è limitare i propri bisogni, cioè vivere seguendo uno stile sobrio e appunto frugale. Il modo migliore per attuare questo stile di vita è abbandonare la logica economicista del perseguimento del profitto ed entrare in quella del dono.
Riprendendo il discorso sulle macchine, Latouche chiama in causa Ivan Illich e il suo concetto di tecnica eteronoma, che ci umilia e ci rende dipendenti e infine schiavi. La tecnologia non è però un demone da scacciare: al posto della macchina eteronoma può esistere la macchina come strumento conviviale, che viene utilizzata nel rispetto dell’ambiente e mantiene con l’uomo un rapporto di equilibrio; esempi di questo tipo possono essere la bicicletta e la macchina da cucire.
La società conviviale pensata da Ivan Illich è per Latouche un’ottima declinazione dell’idea di decrescita, così come lo è il sistema inteso da Cornelius Castoridias che, spostando il discorso dal piano tecnologico a quello politico, immagina una democrazia che sia diretta e locale, condizioni fondamentali per evitare che questa forma di governo degeneri proprio come sta succedendo oggi.
Un ulteriore approfondimento di questa idea è il municipalismo libertario di Murray Bookchin, in cui piccoli sistemi locali ne costituiscono uno più grande mettendosi in rete secondo una schema piramidale, in cui le decisioni vengono prese a livello locale e poi 'travasate' a quello successivo.
Avviandosi verso la conclusione del suo intervento, Latouche chiama nuovamente in causa Woody Allen e dopo aver parlato della crescita con crescita che porta alla scomparsa, prende in esame la strada che porta alla disperazione, quella della crescita senza crescita, che è quella che stiamo percorrendo oggi, fatta di poche risorse, molta disoccupazione e funestata da una crisi che ciclicamente si ripropone per azzerare il punteggio e ripartire con il processo di produzione e consumo.
Né rilancio dei consumi né austerità imposta: per attuare il cambiamento ci vuole una rivoluzione culturale
È quindi meglio la strada che porta alla scomparsa o quella che porta alla disperazione? Ironicamente, Latouche rileva che è come se ci trovassimo su una macchina lanciata senza freni verso un muro: scegliendo la crescita con crescita ci schianteremmo a trecento chilometri orari e saremmo spacciati, optando per la crescita senza crescita potremmo riuscire a ridurre la velocità a duecento chilometri orari, ma l’impatto sarebbe comunque fatale.
Né rilancio dei consumi né austerità imposta dunque, per attuare il cambiamento ci vuole una rivoluzione culturale che inneschi inevitabilmente una rivoluzione reale, perché è inutile cambiare il software se non si cambia anche l’hardware. La strada della decrescita ha molto in comune con la filosofia zen – da qui l’idea di usare lo slogan Il tao della decrescita come sottotitolo per l’incontro: si può arrivare alla felicità solo se si sa limitare i propri bisogni e i propri desideri.
Oltre a quella zen sono molte le filosofie, le culture e le correnti di pensiero che la pensano in questo modo; così la decrescita può essere interpretata non come la sola alternativa, quanto piuttosto come una matrice di alternative, differenti nei modi ma uguali nell’obiettivo: porre fine alla società della crescita.
fonte
Come si esce dalla Società dei Consumi
Novità
Come si esce dalla Società dei Consumi
Corsi e percorsi della decrescita
- Editore:Bollati Boringhieri
- Data pubblicazione:Febbraio 2011
- Categorie:Critica sociale, Economia e Finanza etica, Decrescita
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