Articolo di Irene Dioli
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La crisi economico-finanziaria ha 
portato con sé le sue parole d'ordine: “austerità”, “responsabilità”, 
“sacrifici”. “Adottare provvedimenti impopolari”, “tagliare sprechi e 
privilegi”, “rassicurare i mercati”. Queste le espressioni e le 
esortazioni che attraversano l'Europa veicolate da media e politica, 
senza grandi distinzioni fra destra e sinistra. Una pioggia che si 
rovescia sulle teste dei cittadini con l'obiettivo di presentare come 
naturali e ineluttabili quelle che sono precise scelte politiche e 
sociali, dove a fare la differenza è “chi” deve affrontare l'austerità, 
“che cosa” viene indicato come spreco o privilegio, “presso quali gruppi
 sociali” sono impopolari determinati provvedimenti, “a quale prezzo” 
rassicurare i mercati. La Grecia rimane il caso più emblematico (e 
drammatico), ma anche l'Italia promette bene. E se la politica non 
sembra voler mettere in discussione il credo finanziario internazionale e
 il linguaggio apparentemente neutrale di “esperti” e “tecnici”, a 
prendere spunto dalla crisi greca per un dibattito sul significato di 
democrazia, rappresentanza e solidarietà interviene la filosofia.
Judith Butler, vite precarie
Fra
 gli interventi più recenti c'è quello di Judith Butler, autorevole 
filosofa americana nel campo degli studi queer e della critica ai 
sistemi sociali, che il 12 novembre ha preso la parola sul blog Greek Left Review .
 In Grecia ma non solo, secondo Butler, non siamo di fronte ad una 
temporanea fase di difficoltà economica, ma ad una “costellazione di 
pratiche economiche neo-liberiste” caratterizzate dalla precisa volontà 
di modificare i rapporti fra strutture economiche e sociali. Lo 
smantellamento di istituzioni democratiche e servizi sociali produce 
infatti quelle che Butler chiama “vite precarie”, da intendersi come 
vite “usa e getta”. Non si tratta semplicemente di esistenze precarie 
dal punto di vista lavorativo, ma di vite sul cui sfruttamento si 
produce profitto: si parla in primo luogo di persone povere, senza casa e
 migranti, e in generale tutte quelle interessate da forme di protezione
 sociale (protezioni che in Italia vengono sempre più etichettate come 
“assistenzialismo”, “spreco” e “privilegio”). Il problema, sostiene 
Butler, non è solo nell'impoverimento materiale di vasta parte della 
società, ma anche nel fatto che l'abbandono di molteplici gruppi sociali
 al tritacarne liberista sia stato ri-concettualizzato come pratica 
periodica, regolare e normale.
Jürgen Habermas, dignità e democrazia
Questa
 nuova razionalità, che rende gli Stati meri mediatori delle esigenze 
indiscusse delle sovrastrutture economico-finanziarie, apre una ferita 
profondissima nei concetti stessi di rappresentanza e di democrazia. 
Butler non cita qui lo slogan “noi siamo il 99%”, ma indica 
esplicitamente nelle masse di manifestanti a New York, Oakland e altrove
 il ricostituirsi, letteralmente e fisicamente, della volontà popolare 
di chi è rimasto escluso da un “noi” istituzionale ormai svuotato di 
significato. E la democrazia, un concetto che sembrava dato per scontato
 in Occidente, compare nei dibattiti nel ruolo di creatura in via di 
estinzione. In un'anticipazione del suo prossimo libro ("The Crisis of the European Union: A Response") pubblicata sul Guardian il 10 novembre e ripresa da GLR,
 il filosofo tedesco Jürgen Habermas dipinge lo scenario di un'Europa 
post-democratica, fatta di governi che, sotto minaccia di sanzioni, 
traducono gli imperativi di mercato in politiche economiche nazionali 
senza mediazione o legittimazione democratica. Vi suona familiare?
In
 questo modo, secondo Habermas, l'Europa che dovrebbe essere una 
democrazia transnazionale si trasforma in un sistema caratterizzato 
dall'asimmetria fra le possibilità di partecipazione democratica a 
livello nazionale e quelle a livello dell'Unione europea. Ma di fronte 
al deficit democratico, i governi nazionali fomentano l'euro-scetticismo
 invece di proporre un'Europa partecipata e autenticamente democratica, 
che secondo Habermas passa attraverso una solidarietà civica 
transnazionale. Ma una solidarietà civica, continua, si può sviluppare 
solo in presenza di equità sociale all'interno dell'Unione, invece che 
di gerarchie fra ricchi e poveri negli Stati membri. Una posizione che 
in Germania non può passare inosservata. Infatti, ai primi di novembre, 
Habermas era intervenuto sulla questione dell'annunciato referendum 
greco commentando: "Non è soltanto una questione di democrazia: è una 
questione di dignità", guadagnandosi sulla stampa tedesca gli appellativi di buonista, isterico e retorico.
Tuttavia,
 anche se lo strumento referendario sembrerebbe la quintessenza della 
democrazia e la sua cancellazione ha suscitato sospiri di sollievo ai 
piani alti delle istituzioni europee, dagli intellettuali greci di GLR
 la mossa di Papandreou era stata interpretata come tutt'altro che una 
questione di principio. In diversi contributi, l'ormai ex primo ministro
 viene ritratto non come costretto dal ricatto internazionale ad 
abdicare ai propri principi democratici, ma come uno spregiudicato 
scommettitore che aveva usato il paventato referendum come strumento di 
ricatto e stratagemma contro l'opposizione interna. Il governo greco 
come la Fiat, in altre parole. Uno stato d'emergenza che maschera e 
giustifica la rottura del contratto sociale.
Božidar Jakšić, solidarietà in chiave umanistica
Di referendum in referendum, arriviamo ad una voce filosofica dall'ex-Jugoslavia: Božidar Jakšić, figura legata alla rivista Praxis, alla scuola estiva di Korčula
 e all'Istituto di filosofia e teoria sociale dell'Università di 
Belgrado. A proposito del possibile referendum croato sull'entrata 
nell'Unione europea (osteggiata in ottica nazionalista da destra e 
anti-liberista da sinistra), e pur augurandosi un futuro all'interno 
dell'Unione per la Croazia e in futuro per la Serbia, Jakšić mette in 
guardia dalla tendenza delle istituzioni europee a guardare ai Balcani 
come ad entità subordinate anziché stati indipendenti, anche se sotto 
questo aspetto, in questo momento, i Paesi candidati sembrano essere in 
buona compagnia degli stati membro. Qui Jakšić fa ironicamente notare un
 paradosso: dopo aver fatto fuoco e fiamme per uscire da quella che lui 
chiama “piccola federazione”, paesi come Slovenia e Croazia sono passati
 dalla padella jugoslava alla brace di una ben più potente Unione 
europea. Per Jakšić, le manifestazioni di questi tempi rappresentano una
 sorta di ritorno alle origini: alle piazze, all'agorà dove la 
democrazia è nata e potrebbe rinascere dalle proprie ceneri. Con un 
certo ottimismo, infatti, vede in proteste e occupazioni “l'inizio della
 fine” per le oligarchie finanziarie, politiche e militari, e nella 
crisi l'opportunità di ripartire da una critica dell'esistente.
Slavoj Žižek, solidarietà trans-europea
Come
 Habermas, Jakšić invita a rivalutare il concetto di solidarietà in 
chiave civica e umanistica. E all'idea di solidarietà si affidano anche 
le speranze dell'immancabile Slavoj Žižek in un'intervista a GLR.
 Qui però l'ottica non è universalistica, ma di classe: Žižek indica 
infatti l'unica possibile via d'uscita dalla crisi, economica e di 
sistema, nell'emergere di una solidarietà trans-europea fra lavoratori e
 lavoratrici. Un movimento 99% europeo? A sentire la filosofia, quella 
giustizia sociale che viene presentata come un costoso impiccio alla 
crescita potrebbe essere l'unica possibilità di ridare significato al 
progetto europeo.
 
 
 
