TITOLO: La Resurrezione degli Arabi
AUTORE: Michel ‘Aflaq
EDITORE: Edizioni All’Insegna del Veltro
ANNO: 2011
PAGG.: 70
PREZZO: 7 €
Ancora una volta è la Collana Gladio&Martello
delle Edizioni All’Insegna del Veltro a segnalarci un’uscita
interessante. Dopo aver approfondito le tematiche storico-politiche del
complesso e semi-sconosciuto anti-sionismo sovietico, ma soprattutto
sulla scia delle precedenti uscite monografiche relative alle rispettive
figure di Gamāl Abd al-Nāser e Mu’ammar Gheddafi, la casa editrice
parmense pubblica La Resurrezione degli Arabi, un testo che
raccoglie le riflessioni di Michel ‘Aflaq, l’intellettuale siriano
considerato unanimemente il padre del Panarabismo.
L’introduzione è affidata ad un saggio di Alessandro Iacobellis che
ripercorre con un’attenta ricostruzione storica la vicenda di ‘Aflaq e
del Partito Socialista della Rinascita Araba, il famigerato Ba’th.
Negli Anni Trenta, l’Impero Ottomano era ormai dissolto e i grandi
movimenti politici di massa europei stavano influenzando i tanti
fermenti sociali presenti nel mondo meno avanzato. I Paesi Arabi
rappresentavano una sorta di terra di mezzo che, come ricorda
lo stesso Albert Hourani, usciva paradossalmente rafforzata
dall’esperienza coloniale dei decenni precedenti: l’incremento
demografico nel trentennio 1910-1940 e l’introduzione delle prime forme
di trasporto meccanizzato innescarono trasformazioni nel tessuto
tradizionalmente agricolo e semi-nomade delle società arabe[1],
provocando un notevole afflusso delle popolazioni nelle città più
industrializzate, dove stava già nascendo una nuova borghesia nazionale[2].
Questo fermento così improvviso all’interno di Paesi per lungo tempo
caratterizzati da sistemi feudali e dalle dominazioni coloniali,
costituì terreno fertile per l’emergere di una coscienza nazionale
capace di coinvolgere tutti gli strati sociali delle nazioni arabe. A
differenza di quanto avvenne in Turchia con Atatürk, però, la forte
spinta modernizzatrice che caratterizzava questi movimenti politici non
intendeva abbandonare la tradizione, incorporandone molti elementi
all’interno delle rivendicazioni popolari, a partire dalla riscoperta
della lingua e persino delle tradizioni pre-islamiche, che riaffioravano
grazie alle epocali scoperte archeologiche di inizio Novecento,
soprattutto in Egitto e in Siria. Tuttavia “nel nazionalismo vi era inevitabilmente un elemento islamico”[3],
anche se questo tendeva a non prevalere sul resto, per cercare di
privilegiare lo spirito di unità nazionale anziché la frammentazione
inter-religiosa, piuttosto probabile all’interno di società come quella
egiziana e quella siriana, dove musulmani e cristiani coabitavano da
secoli. In questo quadro è chiaro come il socialismo nazionalista
teorizzato da ‘Aflaq potesse soltanto in parte trarre ispirazione dal
marxismo e dal leninismo, altresì dominanti negli ambienti operai
dell’Europa e negli strati proletari e contadini della Russia zarista.
Difatti, nonostante la modernizzazione, il quadro politico e sociale dei
Paesi Arabi tra le due Guerre era quello di territori ancora
pesantemente influenzati da un Islam tutt’altro che secolarizzato e a
lungo sottoposti alla dominazione imperialista straniera. Come avrebbe
meritoriamente indicato Stalin ne I Principi del Leninismo,
partendo dal presupposto dell’ineguale sviluppo capitalistico
all’interno del pianeta intero, la lotta per l’indipendenza nazionale e
per l’eliminazione del dominio straniero è oggettivamente una lotta
progressiva in direzione del socialismo, anche nel caso in cui questa
sia innescata da forze politiche non-marxiste o perfino borghesi. La
spiritualità, estromessa nel marxismo, può dunque diventare un elemento
ideologico determinante ed indissolubile dalla lotta per l’emancipazione
sociale delle classi lavoratrici, delle donne e degli strati sociali
più bassi nel loro complesso, come fu evidenziato dallo stesso studioso
siriano Constantin Zureiq, che tentò di introdurre una particolare
sintesi tra spirito di modernizzazione e preservazione delle tradizioni
islamiche. Nomi altisonanti come quelli di Nasser, di Gheddafi o dello
stesso Saddam Hussein, devono molto al contributo teorico di ‘Aflaq.
Questo non impedì certo ad Egitto o Siria alleanze strategiche con
l’Unione Sovietica che, in modo meritoriamente pragmatico e immune da
dogmatismi ideologici, seppe individuare, soprattutto a partire dal
1966, in quei movimenti di liberazione nazionale una forza
anti-imperialista ed anti-sionista senza pari, proprio in uno scenario
geopolitico ormai prioritario e costantemente instabile come quello del
Medio Oriente nel secondo Novecento.
Strategos
[1] A. HOURANI, Storia dei Popoli Arabi – da Maometto ai nostri giorni, Cap. XX – Mutamenti nel modo di vivere e di pensare (1914-1939), Mondadori Editore, Milano, 1992, pp. 333-334
[2] A. HOURANI, Storia dei Popoli Arabi – da Maometto ai nostri giorni, Cap. XX – Mutamenti nel modo di vivere e di pensare (1914-1939), Mondadori Editore, Milano, 1992, p. 336
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