L’articolo è stato originariamente pubblicato dal portale
Peščanik il 16 marzo 2012 col titolo
Miješani brakovi
Sto pensando di andarmene dalla mia città. Già da un po’ di tempo,
come forse anche molti altri che si trovano nella mia stessa situazione.
Non sono messo male, non me andrei per andare in cercare di un tozzo di
pane. Non c’è la guerra, almeno non quella armata. Nessuno ci sta
cacciando. Ciononostante, la mia famiglia ed io non ci sentiamo più bene
accetti nella città dove siamo nati. L’ambiente sociale, a causa del
terribile bisogno di metter ovunque il marchio nazionale, ci identifica
come un matrimonio misto.
Io quell’“essere misto” posso accettarlo solo se si parla di due
sessi diversi, ma è ovvio che non è riferito a quello. Questa
costruzione linguistica - matrimonio misto - che per alcuni non ha alcun
significato e per altri invece significa e descrive molto, nella storia
recente della Bosnia Erzegovina viene abbondantemente sfruttata in
vario modo, solitamente negativo. Ampiamente incoraggiati, come base
della fraternità e dell’unione dei popoli e delle nazionalità, con lo
scoppio della guerra i matrimoni misti sono presto diventati una delle
categorie sociali meno accettate. In particolare i bambini nati da
questi matrimoni. Sono persone che non hanno un “loro” di riferimento, e
quindi tutti gli altri, che sono “loro”, li rifiutano. Per cui non
sorprende il fatto che persone appartenenti a questa categoria sociale
siano andate via dalla ex Jugoslavia, forse in maggior numero dalla
Bosnia Erzegovina, perché ce ne erano di più. E siccome anche tutti i
governi della BiH dal 1992 fino ad ora sono stati generalmente
nazionalisti, e anche loro si sono dati da fare per rendere la vita di
queste persone ancora più disgustosa e di spiegare “in modo carino” che
sarebbe meglio per loro se se ne andassero via. Perché con queste
persone le cose non sono mai chiare. Non sanno per chi votare e non si
può far conto su di loro.
All’inizio e durante la guerra, due politici di alto livello
dichiararono pubblicamente che i bambini dei matrimoni misti sono un
rifiuto genetico. Diedero anche una sconclusionata spiegazione
“scientifica” come prova, rendendo tutto quanto ancora più morboso. Dopo
la guerra, i rappresentanti della comunità islamica in più occasioni
hanno fatto riferimento a “coloro che sono stati educati nell’ateismo”, e
nella maggior parte dei casi ci si riferisce proprio a quelli che
provengono da ambienti familiari dove sono presenti più nazionalità/
religioni, oppure a quelli che non attribuivano a nazionalità e
religione alcun particolare significato.
Recentemente il vice reis, in un’intervista rilasciata al quotidiano
Avaz
in occasione del Bajram, ha qualificato queste persone come i nemici
più pericolosi. Devo riconoscere che fa un certo effetto leggere sui
quotidiani più diffusi di essere diventato in una notte il nemico di
qualcuno, nonostante sia nato, vissuto e sopravvissuto in questa città.
Il titolo dell’intervista era (se ben ricordo) “I bosgnacchi sono di
nuovo sotto il giogo della tirannia”, e questa parte sui nemici era
evidenziata in un box a parte. Se si tiene in considerazione che la
maggior parte dei lettori di
Avaz legge soltanto i titoli,
eventualmente i sottotitoli e i testi nei box, non è difficile
concludere cosa si è voluto ottenere in questo modo, e quale conclusione
si volesse imporre. Ma c’è dell’altro.
È ben noto che religione, istruzione e cultura si intrecciano
continuamente e si superano a vicenda. Questo magico triangolo è
qualcosa con cui quasi ogni persona, almeno in una fase della vita,
viene a contatto. Chi più chi meno. Forse dalle nostre parti i legami
reciproci di queste tre categorie, e a volte anche gli scontri, sono più
forti che altrove. Il periodo del nostro passato indicato come
“Jugoslavia titina” è stato in qualche modo il periodo in cui
l’istruzione e la cultura avevano la priorità sulla religione. Oppure,
possiamo dire che la religione aveva una minore influenza
sull’istruzione e la cultura. Oggi, invece, è il contrario. La religione
regna, e alle persone che non vi si ritrovano rimane molto poco, poiché
l’istruzione e la cultura sono in caduta libera (detto in modo blando).
Un interessante e doloroso esempio della superiorità della religione
sull’istruzione è quanto accaduto al (ex) ministro dell’Istruzione del
Cantone di Sarajevo, Emir Suljagić. A differenza di quasi tutti gli
altri politici, egli è un raro esempio di chi ha cercato di fare
qualcosa di concreto per i bambini che vengono da famiglie dove la fede e
l’identità religiosa sono una questione di scelta e non una regola.
Voleva renderli uguali a tutti gli altri. Perché non lo sono, nonostante
il governo di Sarajevo si vanti apertamente del carattere multietnico
della città e della tolleranza generale. Il linciaggio mediatico
innescato dopo che il ministro, ora ex, aveva introdotto la materia di
religione come scelta facoltativa, perché la sostanza in effetti sta
nella scelta, e l’aveva tolta dalla media dei voti (per non danneggiare
quelli che non frequentano quella materia), è stato senza precedenti.
Gli ambienti religiosi, guidati dalla comunità islamica, anche se si
sono aggiunti anche i rappresentanti di altre religioni “costitutive”,
hanno minacciato tutto e tutti. Hanno parlato naturalmente anche di
Srebrenica, perché lo devono fare quando sono a corto di argomenti.
Questa spaventosa campagna, oltre a portare l’intera vicenda nel
contesto del genocidio di Srebrenica, senza motivo alcuno, in realtà è
basata su una pura menzogna.
Hanno affermato che il ministro vuole togliere l’ora di religione, ma
di questo non si è mai parlato. Ancora oggi è possibile trovare tutti i
testi di quel periodo e vedere che non esiste alcun documento,
dichiarazione o qualsiasi altra cosa giunta dal ministero della
Istruzione relativa all’abrogazione dell’ora di religione. Il desiderio
era soltanto di mettere l’ora di religione là dove è il suo posto, come
scelta di chiunque voglia studiarla, ma anche come diritto per tutti
quelli che non la vogliono fare, di non essere discriminati per questo
motivo. Nonostante inauditi e brutali attacchi, il ministro è rimasto
fermo sulla sua decisione, e ha dato le dimissioni (la prima volta). In
quel momento si poteva vedere quanto fosse solo in quello che stava
facendo. Il suo partito a mala voglia lo ha appoggiato, il parlamento
del Cantone ha preso una decisione che ha mitigato quello che il
ministro aveva deciso all’inizio, e non ha accolto le sue dimissioni.
1:0 per la religione. Credo che Suljagić, nonostante i concreti
risultati che ha ottenuto, verrà ricordato solo per quella falsa
“abrogazione dell’ora di religione”. Ma ovviamente ci sono state altre
cose buone che il ministro ha fatto per l’istruzione, in un periodo
molto breve, e lo dimostra bene l’aperto sostegno dei docenti che
Suljagić ha ricevuto dopo aver dato le seconde, e questa volta
irrevocabili, dimissioni. Ma non era di questo che volevo parlare.
Questo esempio fa vedere chiaramente quanto la religione sia più
potente dell’istruzione nella Sarajevo odierna. Inoltre, questo dimostra
anche cosa può succedere quando, nella Sarajevo multietnica, i “multi”
cercano di chiedere qualcosa a loro favore, oppure qualcuno li appoggia o
li rappresenta in qualcosa. Il
proiettile destinato a Suljagić nella
lettera non era indirizzato soltanto a lui, ma a tutti quelli che hanno
creduto che lui avesse fatto qualcosa che porta veramente
all’uguaglianza , almeno nel settore dell’istruzione dei minorenni.
Anche se si volesse interpretare quel proiettile come il gesto
individuale di qualche estremista, la campagna e il linciaggio a cui è
stato sottoposto tramite i media nei mesi scorsi non lo sono di sicuro.
Il proiettile è soltanto una conseguenza logica di tutto quanto è
confermato coi numerosi esempi presenti nella ex Jugoslavia. Quando si
arriva al punto in cui bisogna avere il “multi” nella prassi, allora
vengono tirati in ballo gli inconfutabili argomenti della maggioranza.
Oppure i sondaggi, cosa ancora più ipocrita. Come per esempio, un
sondaggio fra i bambini e i genitori per vedere se sono per
l’abrogazione della valutazione di una materia dove hanno di media un
voto sopra il 9,5. E così fanno vedere che la maggioranza era per l’ora
di religione. Ovvio che sì, perché è diventato il modo migliore per
migliorare la media dei voti. Garantisco che, se si facesse lo stesso
sondaggio sul tema “desiderate che il voto di matematica venisse tolto
dalla media dei voti”, il numero di quelli che lo sosterebbe sarebbe
ancora più alto del numero di quelli che sostengono la valutazione
dell’ora di religione. Comunque, quel sondaggio sarebbe valutato come
irragionevole (come difatti lo è).
Inoltre la predominanza della religione rispetto alla cultura è ben
visibile. A Sarajevo le moschee si stanno costruendo su ogni pezzo di
superficie libera e a gran velocità. Prima che qualcuno mi accusi a
priori di essere contro le moschee, vi dico subito che non lo sono. Sono
cresciuto in una città con le moschee del periodo ottomano e ne ammiro
moltissime come monumenti storico culturali, ma anche come templi
religiosi. Ma l’inondazione di moschee costruite, che difficilmente
possono essere paragonate a quelle vecchie è molto indicativa. Allo
stesso tempo, vengono chiusi i musei, le gallerie d’arte, i teatri danno
soltanto qualche spettacolo al mese, e la Filarmonica di Sarajevo
tiene solo un concerto al mese. In modo parallelo, le manifestazioni di
carattere religioso senza nessun problema riempiono lo stadio Zetra, e
come massimo del successo culturale e della promozione viene definito il
film di Angelina Jolie.
Le istituzioni che a Sarajevo sono al collasso oppure sono state già
chiuse sono proprio quelle istituzioni che sostengono la cultura, il
carattere multietnico della città, cioè la sua diversità storica. Non
si può dire che le comunità religiose siano direttamente responsabili
del fallimento della cultura, né che abbiano dovuto sostenere
finanziariamente le istituzioni culturali. Ma, senza dubbio, hanno
attirato il “pubblico” dalla loro parte, il che col tempo porta al
disgregamento dei contenuti culturali di altro genere. Se a questo viene
aggiunto anche il pessimo sostegno dello stato alle istituzioni
storico-culturali, è chiaro dove andiamo a finire. Per mantenere in vita
la cultura che una volte esisteva a Sarajevo accanto alla religione
urlata e onnipresente, c’è bisogno di uno stato molto forte. E la
Bosnia, purtroppo, oggi non lo è.
Sui media le notizie e i fatti sul fallimento della cultura e
dell’istruzione compaiono fugacemente, quando vengono menzionati. A
questi fatti reagiscono pubblicamente soltanto una manciata di persone
che generalmente non hanno alcuna influenza. A questi fatti non
reagisce nessuna comunità religiosa, perché a loro non servono né musei,
né gallerie, né concerti. Perché sanno molto bene che quelli che
frequentano quei posti non sono materiale adatto per l’indottrinamento.
Dopo 36 anni vissuti a Sarajevo, considerando me stesso una persona
di ampie vedute, già da tempo mi chiedo quanto tempo deve ancora passare
prima che in quell’intreccio di religione, cultura e istruzione accada
di nuovo un cambiamento nel rapporto di forze. E quanto tempo deve
ancora passare prima che la mia Sarajevo capisca di nuovo cosa
significa veramente multietnicità, diversità, e accettazione degli
altri. Una ventina di anni fa, sembrava che fosse chiaro a tutti. Forse
lo era per quelli che non vivono più in questa città, non perché sono
stati uccisi, ma perché sono morti oppure se ne sono andati via. Per i
sarajevesi di oggi questa idea purtroppo è molto lontana dalla realtà,
anche se credo siano quasi tutti pronti a giurare sul carattere
multietnico della città, senza pensare a quello che Sarajevo come città
può veramente offrire a chi non mette la religione al primo posto. La
multi etnicità dichiarata è molto più ipocrita del semplice
riconoscimento che Sarajevo è una città a maggioranza musulmana, e che
in quel verso si sta sviluppando, cioè funziona. A volte credo veramente
che se ci fosse questo riconoscimento , per noi altri, sarebbe anche
meglio. Perché in ogni società dove esiste una maggioranza definita,
esistono anche minoranze definite coi rispettivi diritti. Così com’è, la
multi etnicità sulla carta in realtà permette alla maggioranza di fare
quello che vuole, mentre qualsiasi minoranza viene assolutamente
marginalizzata.
L’altro problema sono i criteri del tutto distorti. Se oggi vi
lamentate che Sarajevo quelli che non sono bosgnacchi non stanno poi
tanto bene, ovunque potete ricevere la tipica risposta “cosa gli manca,
nessuno li tocca”. È vero, ma anche lontano dall’essere sufficiente per
far sentire bene qualcuno. L’assedio che ha vissuto Sarajevo, tutto il
sangue versato sulle strade di questa città, ha fatto sì che la gente
reagisca soltanto quando è minacciata di morte. Tutto il resto non è
così grave. Io ho passato tutta la guerra a Sarajevo, e ho vissuto molte
cose brutte senza averne colpa, ma 17 anni dopo la guerra non riesco a
consolarmi con la frase “va bene, basta che non si spara”. Desidero
vedere anche che la mia città mi accetta e desidera come suo cittadino, e
che ha qualcosa da offrirmi. E che in questa città posso sentirmi come
cittadino d’Europa e del mondo, e non soltanto ed esclusivamente come
“altro” (se appartengo ad uno dei popoli costituenti). Per far sentire
chiunque in questo modo oggi a Sarajevo, c’è bisogno molto di più che
della mera esistenza fisica.