Si possono usare gli ammortizzatori sociali solo per salvare le
tasche della proprietà, ma non i posti di lavoro? A quanto pare sì.
Basta usare i soldi dello Stato per migliorare i conti poco prima di
vendere l'azienda, lasciando poi che i nuovi arrivati licenzino come e
quanto vogliono. Sembra impossibile, ma è esattamente quello che stanno
subendo 141 dipendenti della Maggiore Rent, società romana di noleggio
auto che dallo scorso marzo è passata nelle mani della multinazionale
statunitense Avis.
Tutto comincia a inizio 2013, quando Maggiore Rent stima di dover fronteggiare entro fine anno un rosso di 2,6 milioni di euro. Sindacati e azienda firmano quindi un contratto di solidarietà della durata di due anni. In teoria, l'accordo può essere prorogato per un altro biennio, ma a fine gennaio 2015 la società decide di non rinnovarlo.
Ormai non serve più, lo scopo è raggiunto: il bilancio è migliorato, facendo salire il prezzo dell'azienda. Appena due mesi dopo, infatti, il colosso made in Usa sborsa ben 170 milioni di dollari per rilevare l'attività.
Il 5 ottobre arriva il colpo di scena. Avis decide di licenziare quasi la metà del personale (141 su 287 dipendenti a tempo indeterminato, più quattro dirigenti e 11 lavoratori a tempo determinato), nonostante i conti della Maggiore Rent siano ormai sotto controllo. A fine 2013, dopo un solo anno di solidarietà, i libri contabili parlavano di un utile in crescita da 2,8 a 4 milioni, di costi del personale scesi da 16 a 14,4 milioni e soprattutto di un Ebitda quasi triplicato (da 3,6 a 9,6 milioni). E per il 2015 non è previsto un nuovo tracollo, ma un calo del fatturato del 3%, pari a circa 3,9 milioni di euro.
Quanto ad Avis, stiamo parlando di un colosso che stima di chiudere l'anno con ricavi da 8,7 miliardi di dollari (in lieve miglioramento rispetto al 2014) e un Ebitda tra i 900 e i 950 milioni (la crescita attesa è fra il 3 e l'8%). Insomma, a guardare i numeri, non esistono ragioni economiche plausibili per giustificare la pioggia di licenziamenti che gli americani vogliono infliggere alla società italiana.
Eppure, il destino del personale non sembra interessare nemmeno ai vertici di Maggiore Rent, visto che si sono rifiutati d'inserire nell'accordo di vendita una clausola di salvaguardia per i posti di lavoro. “Ci hanno risposto che il prezzo sarebbe sceso”, spiega Marino Masucci, coordinatore nazionale Fit Cisl.
In questo modo, un gruppo che fattura quasi 9 miliardi di dollari l'anno può permettersi di lasciare a casa più di 150 persone sostenendo che "non ci sono alternative" per fronteggiare un calo dei ricavi da nemmeno quattro milioni di euro (su Ebitda e risultato netto non esistono proiezioni).
Di fronte a questa situazione, i dipendenti di Maggiore Rent hanno indetto uno stato d’agitazione che ha già prodotto uno sciopero, mentre i sindacati hanno già chiesto un incontro ai ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico perché “preoccupati per la perdita dei posti di lavoro e dall’uso distorto degli ammortizzatori sociali”. Una storia che non può e non deve finire all’italiana, con i furbi che incassano e i lavoratori che pagano.
FONTE
Tutto comincia a inizio 2013, quando Maggiore Rent stima di dover fronteggiare entro fine anno un rosso di 2,6 milioni di euro. Sindacati e azienda firmano quindi un contratto di solidarietà della durata di due anni. In teoria, l'accordo può essere prorogato per un altro biennio, ma a fine gennaio 2015 la società decide di non rinnovarlo.
Ormai non serve più, lo scopo è raggiunto: il bilancio è migliorato, facendo salire il prezzo dell'azienda. Appena due mesi dopo, infatti, il colosso made in Usa sborsa ben 170 milioni di dollari per rilevare l'attività.
Il 5 ottobre arriva il colpo di scena. Avis decide di licenziare quasi la metà del personale (141 su 287 dipendenti a tempo indeterminato, più quattro dirigenti e 11 lavoratori a tempo determinato), nonostante i conti della Maggiore Rent siano ormai sotto controllo. A fine 2013, dopo un solo anno di solidarietà, i libri contabili parlavano di un utile in crescita da 2,8 a 4 milioni, di costi del personale scesi da 16 a 14,4 milioni e soprattutto di un Ebitda quasi triplicato (da 3,6 a 9,6 milioni). E per il 2015 non è previsto un nuovo tracollo, ma un calo del fatturato del 3%, pari a circa 3,9 milioni di euro.
Quanto ad Avis, stiamo parlando di un colosso che stima di chiudere l'anno con ricavi da 8,7 miliardi di dollari (in lieve miglioramento rispetto al 2014) e un Ebitda tra i 900 e i 950 milioni (la crescita attesa è fra il 3 e l'8%). Insomma, a guardare i numeri, non esistono ragioni economiche plausibili per giustificare la pioggia di licenziamenti che gli americani vogliono infliggere alla società italiana.
Eppure, il destino del personale non sembra interessare nemmeno ai vertici di Maggiore Rent, visto che si sono rifiutati d'inserire nell'accordo di vendita una clausola di salvaguardia per i posti di lavoro. “Ci hanno risposto che il prezzo sarebbe sceso”, spiega Marino Masucci, coordinatore nazionale Fit Cisl.
In questo modo, un gruppo che fattura quasi 9 miliardi di dollari l'anno può permettersi di lasciare a casa più di 150 persone sostenendo che "non ci sono alternative" per fronteggiare un calo dei ricavi da nemmeno quattro milioni di euro (su Ebitda e risultato netto non esistono proiezioni).
Di fronte a questa situazione, i dipendenti di Maggiore Rent hanno indetto uno stato d’agitazione che ha già prodotto uno sciopero, mentre i sindacati hanno già chiesto un incontro ai ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico perché “preoccupati per la perdita dei posti di lavoro e dall’uso distorto degli ammortizzatori sociali”. Una storia che non può e non deve finire all’italiana, con i furbi che incassano e i lavoratori che pagano.
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