involuzione

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Poche cose abbiamo imparato dalla storia all'infuori di questa: che le idee si condensano in un sistema di ortodossia, i poteri in una forma gerarchica e che ciò che può ridare vita al corpo sociale irrigidito è soltanto l'alito della libertà, con la quale intendo quella irrequietezza dello spirito, quell'insofferenza dell'ordine stabilito, quell'aborrimento di ogni conformismo che richiede spregiudicatezza mentale ed energia di carattere.
Io sono convinto che se non avessimo imparato dal marxismo a vedere la storia dal punto di vista degli oppressi, guadagnando una nuova immensa prospettiva sul mondo umano, non ci saremmo salvati. O avremmo cercato riparo nell'isola della nostra interiorità o ci saremmo messi al servizio dei vecchi padroni. Ma tra coloro che si sono salvati, solo alcuni hanno tratto in salvo un piccolo bagaglio dove, prima di buttarsi in mare, avevano deposto, per custodirli, i frutti più sani della tradizione intellettuale europea: l'inquietudine della ricerca, il pungolo del dubbio, la volontà del dialogo, lo spirito critico, la misura nel giudicare, lo scrupolo filologico, il senso della complessità delle cose.
Norberto Bobbio

martedì 15 febbraio 2011

Copti: la mano di Mubarak

di mazzetta
Pochi giorni fa, esattamente il 7 febbraio, il Procuratore Generale egiziano ha messo sotto accusa per l'attentato alla chiesa copta di Alessandria l'ex-ministro dell'interno Habib el-Adly, già braccio destro di Mubarak negli ultimi quattordici anni, così come il vicepresidente Suleiman è stato il suo braccio sinistro.
Sinistro in tutti i sensi, visto che da testimonianze e documenti è emerso che al-Adly ha organizzato da ormai sei anni alcune speciali unità, ponendole sotto il comando di ventidue ufficiali. Le unità sono composte di estremisti islamici e delinquenti scelti tra i carcerati del regime, agenzie private di “sicurezza” e membri della polizia e dei servizi del Ministero dell'Interno. Dovevano servire a praticare una vera e propria “strategia della tensione” attraverso attentati e atti di violenza, quando fossero state utili al regime.
Regime che nel 2010 ha visto enormi difficoltà addensarsi all'orizzonte e ha pensato bene di organizzare l'attentato alla chiesa cristiana. Per portare a termine il piano il maggiore Fathi Abdelwahid ha arruolato Ahmed Mohamed Khaled (con undici anni di galera alle spalle) e l’ha istruito a cercare un contatto con i vertici dell'organizzazione sunnita estremista Jundallah, d'ispirazione qaedista. Stabilito il contatto con Mohamed Abdelhabi, uno dei leader di Jundallah in Egitto, Khaled ha offerto loro un attentato chiavi-in mano ai copti e questi ha procurato quello che ne sarebbe stato l'esecutore: Abdelrahman Ahmed Ali.
Questi ha guidato l'auto imbottita d'esplosivo di fronte alla chiesa, pensando di doverla parcheggiare in modo che i suoi complici potessero farla esplodere con un telecomando all'uscita dei fedeli; invece il maggiore Abdelwahid aveva un altro piano e lo ha fatto esplodere non appena giunto di fronte alla chiesa. Ventiquattro vittime, un “kamikaze” offerto ai periti forensi e un testimone di meno. L'inchiesta ufficiale aveva poi “rivelato” che gli autori erano un gruppo di “palestinesi di al Qaeda”, provocando un fremito di piacere in Israele e un brivido di terrore a Gaza, dove Hamas si era immediatamente dissociata e aveva offerto collaborazione all'indagine.
Per chiudere il cerchio il maggiore ha imposto al suo contatto di organizzare un incontro per discutere l'azione e in quell'occasione li ha arrestati tutti e rinchiusi nel palazzo del Ministero dell'Interno. A seguito dei moti rivoluzionari e allo sbando della polizia, dopo che l'esercito si è schierato dalla parte dei manifestanti, i due terroristi per conto terzi sono riusciti a fuggire e si sono rifugiati all'interno dell'ambasciata britannica confessando tutto. Gli inglesi sono riusciti evidentemente ad ottenere solidi riscontri alla confessione e li hanno passati alla Procura egiziana che, ansiosa di mostrare un'indipendenza sconosciuta fino a pochi mesi fa, ha a sua volta riscontrato la validità delle accuse e proceduto con l'incriminazione.
Il dieci febbraio un diplomatico britannico ha spiegato ufficialmente all'Eliseo perché la Gran Bretagna ha insistito con forza per la rimozione di el-Adly; spiegazione opportuna, visto che Sarkozy e il governo hanno sostenuto fino all'ultimo Mubarak e, in subordine, gli esponenti del suo sistema di potere. Non risulta che all'Italia sia stata usata la stessa delicatezza e nel nostro paese la notizia non ha avuto nessun risalto.
Un esito delle vicende egiziane molto imbarazzante per il nostro premier, che aveva declamato la saggezza di Mubarak anche quando era già chiaro che fosse stato scaricato persino dagli Stati Uniti, e un vero schiaffo per il Ministro degli Esteri Frattini, che aveva reagito all'attentato portando alla UE un'assurda proposta che l'impegnava alla difesa dei cristiani dalle persecuzioni religiose ovunque nel mondo. Proposta fortunatamente respinta dall'UE e non solo perché era scaturita da presupposti falsi.
Frattini tace, i media non sembra proprio che abbiano raccolto la novità e quelli che l'hanno raccolta l'hanno relegata a un trafiletto. Eppure tutte le forze politiche si erano indignate per la persecuzione dei cristiani, per l'attentato dei feroci islamici. Sull'attentato aveva soffiato forte anche il Papa e tutti i cespugli della politica avevano stormito insieme.
Invece l’attentato è stato opera del governo di Mubarak, quello stesso governo che ha offerto protezione ai copti dopo l'attentato, quello stesso governo fino a ieri coperto di apprezzamenti dal vertice del nostro governo e da quelli di Francia, Israele ed Arabia Saudita che, per voce di Abdallah, si erano offerti di sostituire i finanziamenti americani che gli Stati Uniti hanno provato ad usare come leva per provare a passare per i liberatori di quelli che si erano già liberati da soli.
È un vero peccato che questa notiziola non sia oggetto di dibattito o almeno di qualche banale intervista al ministro Frattini o a un portavoce del Vaticano. Forse questo pesantissimo silenzio serve a non turbare l'ennesima “emergenza islamici” brandita dal governo all'arrivo dei primi tunisini via mare. O forse è solo la misura imbarazzante del disinteresse con il quale, in Italia, media e politica seguono gli avvenimenti internazionali. Per poi ritrovarsi a difendere quelli come Mubarak anche quando sono già caduti in disgrazia e disonorati agli occhi di chiunque, complici consapevoli dei loro crimini in nome di tutti gli italiani.

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