questo arresto avvenuto in Israele apre nuovi interrogativi sulla guerra dei Balcani ed in particolar modo sulla strage di Sebrenika.
di Eugenio Roscini Vitali
Il 17 gennaio scorso è stato arrestato in Israele Aleksander Cvetkovic, serbo-bosniaco accusato di aver partecipato nel luglio 1995 al massacro di Srebrenica, la strage conosciuta come il più violento assassinio di massa consumatosi in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Fermato in Galilea dalla polizia israeliana che ha dato seguito al un mandato di cattura spiccato da quella bosniaca, Cvetkovic è tuttora trattenuto in carcere in attesa che la giustizia si pronunci sull’estradizione richiesta nell’agosto 2010 dalla Bosnia Erzegovina.
Sposato con una donna ebrea e padre di tre figli, Cvetkovic viveva a Karmiel, nella Galilea occidentale; si era trasferito in Israele nel 2006, grazie alla possibilità data alla moglie dalla Legge sul Ritorno, norma che permette ad ogni ebreo del mondo di chiedere per se e i suoi familiari la cittadinanza israeliana. A quindici anni dal massacro perpetrato dalle truppe di Ratko Mladic, lo zelante soldato Aleksander era ormai certo di averla fatta franca, soprattutto perché - e questo lascia per lo meno perplessi - era riuscito a sfuggire alla fitta rete di controlli imposta dall’ufficio immigrazioni israeliano; ora dovrà difendersi dall’accusa di aver personalmente preso parte alla fucilazione di quasi mille bosniaci e di essere stato così “zelante” da aver utilizzato una mitragliatrice M-84 per velocizzare le operazioni.
Mercoledì scorso il giudice Ben-Zion Greenberger, della Corte distrettuale di Gerusalemme, ha confermato l’arresto di Cvetkovic e ha disposto che rimanga sotto custodia preventiva per almeno 30 giorni, tempo entro il quale gli organi competenti dovranno valutare la richiesta di estradizione avanzata dal governo di Sarajevo. L’accusa di genocidio a carico di Cvetkovic, reato previsto dall’art. 171 del codice penale della Bosnia Erzegovina, è relativa ai fatti accaduti nel luglio 1995 a Branjevo, fattoria nei pressi di Srebrenica dove Cvetkovic ed altri sette militari del 10° battaglione sabotatori dell’esercito della Repubblica Srpska (VRS) avrebbero fucilato, a gruppi di 10, circa mille musulmani, uomini e ragazzi di età compresa tra i 14 e i 65 anni, separati dalle donne, dai bambini e dagli anziani per apparenti procedere relative allo sfollamento.
Cvetkovic è difeso dall’avvocato Nick Kaufman, ex pubblico ministero per il tribunale penale delle Nazioni Unite nei casi istituiti contro gli ex generali serbi coinvolti nel conflitto balcanico e rappresentante legale dell’ex vice presidente congolese Jean-Pierre Bemba, anche lui accusato per crimini di guerra.
Secondo la convenzione europea sull’estradizione, accordo sottoscritto da Israele nel 1967 e dalla Bosnia Erzegovina nel 2005, Tel Aviv è obbligata ad estradare Aleksander Cvetkovic; il serbo bosniaco è infatti ricercato per aver commesso un fatto considerato illegale in entrambe le nazioni e punibile con una pena superiore ad anni uno (art.1) e non per un fatto considerato quale reato politico (art.3). Robbie Sabel, professore di diritto internazionale all’università ebraica di Gerusalemme, é comunque convinto che se la difesa dovesse opporsi all’estradizione, cosa alquanto probabile, ci potrebbero volere mesi prima di portare Cvetkovic di fronte alla giustizia bosniaca.
Tecnicamente la Corte israeliana dovrà innanzi tutto pronunciarsi circa l’estradabilità dell’imputato, decisione che in caso positivo potrebbe dar luogo ad un ricorso alla Corte Suprema; superato questo scoglio la pratica passerà quindi al vaglio del il ministro israeliano della Giustizia, Ya’akov Ne’eman, che dovrà pronunciarsi sull’approvazione ed applicare tutti gli strumenti necessari alla consegna dell’individuo alle autorità bosniache.
Per il professor Sabel non è esclude che la difesa provi comunque a far passare la tesi del crimine politico; questo anche se per il massacro di Branjevo la Corte bosniaca sui crimini di guerra ha già processato altri quattro membri del 10° battaglione. L’avvocato Kaufman potrebbe inoltre guadagnare tempo basandosi sul fatto che al momento dell’arresto la Bosnia Erzegovina non avrebbe presentato prove evidenti di colpevolezza e appellarsi a quanto già accertato dal Tribunale Internazionale di Giustizia: cioè che il suo cliente avrebbe gia testimoniato di fronte ai magistrati dell’Aja senza peraltro nascondere la sua identità e senza che in quella sede nessuno abbia mai preso provvedimenti a suo carico.
Di tutt’altro avviso Vadim Shuv, magistrato al quale è stato assegnato il caso, e Gal Levertov, direttore del Dipartimento internazionale presso l’Ufficio della procura generale israeliana, che hanno parlato di notevole quantità di prove a carico dell’indiziato ed hanno sottolineato come Israele abbia dato alla pratica la massima priorità. La giustizia bosniaca sarebbe arrivata a Cvetkovic grazie alle informazioni ricevute dagli uffici investigativi dell’Interpol di Lione; la caccia ai membri del 10° battaglione, sospettati di aver partecipato al massacro di Branjevo, non si è mai interrotta e Vlastimir Golijan, Zoran Goronja, Stanko Savanovic e Franc Kos, ex commilitoni di Cvetkovic, sono già stati arrestati e sono attualmente sotto processo.
involuzione
Poche cose abbiamo imparato dalla storia all'infuori di questa: che le idee si condensano in un sistema di ortodossia, i poteri in una forma gerarchica e che ciò che può ridare vita al corpo sociale irrigidito è soltanto l'alito della libertà, con la quale intendo quella irrequietezza dello spirito, quell'insofferenza dell'ordine stabilito, quell'aborrimento di ogni conformismo che richiede spregiudicatezza mentale ed energia di carattere.
Io sono convinto che se non avessimo imparato dal marxismo a vedere la storia dal punto di vista degli oppressi, guadagnando una nuova immensa prospettiva sul mondo umano, non ci saremmo salvati. O avremmo cercato riparo nell'isola della nostra interiorità o ci saremmo messi al servizio dei vecchi padroni. Ma tra coloro che si sono salvati, solo alcuni hanno tratto in salvo un piccolo bagaglio dove, prima di buttarsi in mare, avevano deposto, per custodirli, i frutti più sani della tradizione intellettuale europea: l'inquietudine della ricerca, il pungolo del dubbio, la volontà del dialogo, lo spirito critico, la misura nel giudicare, lo scrupolo filologico, il senso della complessità delle cose.
Norberto Bobbio
Io sono convinto che se non avessimo imparato dal marxismo a vedere la storia dal punto di vista degli oppressi, guadagnando una nuova immensa prospettiva sul mondo umano, non ci saremmo salvati. O avremmo cercato riparo nell'isola della nostra interiorità o ci saremmo messi al servizio dei vecchi padroni. Ma tra coloro che si sono salvati, solo alcuni hanno tratto in salvo un piccolo bagaglio dove, prima di buttarsi in mare, avevano deposto, per custodirli, i frutti più sani della tradizione intellettuale europea: l'inquietudine della ricerca, il pungolo del dubbio, la volontà del dialogo, lo spirito critico, la misura nel giudicare, lo scrupolo filologico, il senso della complessità delle cose.
Norberto Bobbio
domenica 30 gennaio 2011
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